ico di israeliani e palestinesi, non faceva distinzioni, lui stava con tutti quelli che soffrono e subiscono ingiustizie”.
Simone Camilli, ricorda inoltre suo padre, era stato cine foto reporter per l’AP, Associated Press, insieme a un gruppo di giovani fotoreporter italiani che hanno documentato storie dure e difficili per il pubblico di molte parti del mondo. Aveva fotografato anche altri conflitti come quello in Armenia e Azerbaijan, in Georgia, “sempre raccontando la realtà con pudore, per non parlare solo di odio e di dolore”. Affrontò molte peripezie nelle montagne della Georgia in zone impervie, dove suo padre racconta che non è mai mancata l’accoglienza degli abitanti.
“A distanza di dieci anni, siamo rimasti in contatto con i colleghi palestinesi di Simone”, conclude Pierluigi Camilli nel suo ricordo inviando a Ossigeno una foto ricevuta dai colleghi che si trovano a Gaza e sottolineando che con loro oltre al dolore condivide la speranza di un futuro senza conflitti. Nello scatto del 2014 ci sono Simone Camilli insieme al collega Najib Jobain.
CHI ERA – Nella lista dei trenta giornalisti italiani uccisi, in Italia e all’estero, dal 1960 a oggi, Simone Camilli è l’ultimo in ordine cronologico. È rimasto vittima di quello che, secondo i rapporti delle Nazioni Unite, è il conflitto più mortale e pericoloso per i giornalisti nella storia recente.
Era un giovane cronista audiovisivo e uno studioso di storia delle religioni. La sua vita è stata ricostruita da Ossigeno sul sito “Cercavano la verità” www.giornalistiuccisi.