Una ragazza esce di casa per incontrare qualcuno, indossa sotto i jeans i pantaloni del pigiama, sul tavolo della cucina lascia un rossetto e un profumo, un testimone la vede pulirsi le scarpe durante il tragitto, poi sale su un’auto e si allontana: il giorno dopo il suo corpo viene trovato nella gola di Tuvixeddu, a Cagliari.
E’ il 5 febbraio del 1995: quel corpo senza vita è di Manuela Murgia, 16 anni. La sua morte viene archiviata come suicidio, ma gli stessi inquirenti lasciano aperti molti dubbi. La famiglia non ha mai creduto al gesto volontario: “Manuela è stata uccisa”, questa la loro convinzione.
A distanza di 29 anni quella morte è ancora avvolta nel mistero, un cold case che le sorelle e i fratelli della ragazza da anni tentano di far riaprire. Da qualche mese sono entrati in possesso di tutta la documentazione del caso e l’hanno affidata ad un pool di esperti, che ora la stanno studiando per presentare in Procura una richiesta di nuove indagini. “Vogliamo la verità – ribadiscono all’ANSA Elisabetta, Anna e Gioele Murgia – vogliamo sapere come è morta nostra sorella. Non si è trattato di un suicidio, lei non aveva alcun motivo per togliersi la vita”.
Manuela viveva nel quartiere di Is Mirrionis, a Cagliari, insieme ai genitori, alle due sorelle e al fratello. Si erano da poco trasferiti da Monserrato. “Gestire quattro figli per nostra madre non era facile a quel tempo – raccontano – nostro padre era sempre fuori per lavoro e lei era sola. Mia sorella era una ragazza solare, quel giorno si è preparata come una 16enne che deve incontrare qualcuno di cui si fida e poi non è più tornata”. Cosa sia accaduto a Manuela da mezzogiorno del 5 febbraio del 1995 alla stessa ora del giorno dopo è l’interrogativo che si pongono i familiari e per lungo tempo si è posta anche la Procura, tanto che il caso viene chiuso nel 1997 affermando che le indagini non sono “riuscite ad accertare le circostanze e le cause della morte della Murgia, ma non possono essere escluse del tutto altre ipotesi: evento accidentale, dolo di terzi o addirittura investimento stradale colposo con successivo occultamento del cadavere”.
Un mistero in piena regola per gli inquirenti, “una lenta agonia per noi – confessano le sorelle e il fratello di Manuela – Non abbiamo mai saputo di cosa e come è morta nostra sorella, abbiamo dovuto guardare i documenti delle indagini e dell’autopsia per avere alcuni elementi. I nostri genitori da quel giorno portano nel cuore una ferita che sanguina sempre, tutto questo si è ripercosso nelle nostre viste, il lutto non è stato elaborato”. Secondo quanto affermano i familiari della 16enne e la criminologa Maria Marras che fa parte del pool che sta lavorando per la riapertura del caso, ci sono molte incongruenze “che andrebbero chiarite riaprendo il caso e usando le nuove strumentazioni e le nuove tecnologie per analizzare le prove”.
“Parte delle lesioni trovate sul corpo di nostra sorella sono incompatibili con la caduta da una grande altezza come dalla gola del Tuvixeddu – sottolineano insieme alla criminologa -. Nel suo stomaco sono state trovate tracce di semolino o minestrina ingerito tre ore prima del suicidio, un cibo particolare che ha mangiato con qualcuno non in un fast food. E poi sulla schiena sono stati riscontrate lesioni puntiformi non compatibili con lo stato in cui si trovavano gli indumenti”.
Tutti elementi sui quali la famiglia vorrebbe si indagasse in modo approfondito. Lo hanno chiesto a gran voce durante una fiaccolata in centro a Cagliari: “Abbiamo sollecitato nuove indagini e chiesto a chi sa qualche cosa di farsi avanti – raccontano Elisabetta, Anna e Gioele – ma nessuno lo ha fatto, nemmeno con una segnalazione anonima e nemmeno sulla pagina Facebook dedicata a Manuela. Chi l’ha uccisa è ancora libero mentre noi non sappiamo la verità”.