Nel giorno di Santo Stefano, un terremoto distruttivo provocò un maremoto altrettanto devastante. A Sumatra, epicentro del sisma di magnitudo 9.1, si registrarono la maggior parte delle vittime: 180 mila su 230 mila morti, quasi 2 milioni gli sfollati. Ad Aceh si registrarono muri d’acqua fino a 20 metri, mentre onde anomale interessarono oltre all’Indonesia anche la Thailandia e lo Sri Lanka fino a raggiungere l’India, le Maldive e le coste dell’Africa orientale.
Alle 7:58 (Le ore 1:58 italiane) del 26 dicembre 2004, un fortissimo terremoto di 9.1 – avvertito fino a 3 mila chilometri di distanza – devastò la porzione settentrionale dell’arcipelago indonesiano. A portare ulteriore distruzione fu il conseguente tsunami che in pochissimi minuti sorprese la popolazione. Nella provincia di Aceh le persone morirono sorprese dall’acqua che spazzò via ogni cosa. Nessuna costruzione presente sulle coste occidentali dell’isola di Sumatra fu tralasciata dal fenomeno.
Il terremoto, durato 8 minuti, che riaccese la “fossa della Sonda” (Situata nella parte nordorientale dell’Oceano Indiano) andò a intaccare il fondale marino, creando un dislivello in grado di spostare violentemente l’acqua sovrastante. Per questo le onde anomale che si svilupparono riuscirono a raggiunge le zone costiere dello Sri Lanka ma anche della Thailandia e dell’India. E se alcuni Paesi riuscirono ad allertare la popolazione, limitando in parte le vittime, l’isola di Sumatra era troppo vicina all’epicentro per organizzare un’evacuazione.
Fu una corsa contro il tempo, dall’epilogo letale. In Paesi dove la povertà era già dilagante il fenomeno seminò il terrore tra i sopravvissuti. In molti ricordano il momento in cui il mare si ritirò per chilometri per poi abbattersi come una furia. Una sciagura dalle proporzioni inimmaginabili fino a qualche ora prima. Naturalmente tra le numerose vittime, oltre alla popolazione locale, ci furono tanti turisti stranieri che si trovavano nella zona per trascorrere le vacanze di Natale.