Non c’è artista contemporaneo che non utilizzi strategie di marketing per l’affermazione del Sé dinanzi alla sua storia, o più mestamente per tirare a campare, delle due strade io ho scelto quella lunga, quella della lungimiranza che antepone il processo al prodotto, nel nome di questo ho messo in campo tutta l’irrazionalità processuale possibile per negare il mercato dominante e la sua omologante conformità che determina generi linguistici affondando la mia relazione con chi si pone dinanzi al mio lavoro nel territorio comune dell’inconscio individuale (collettivo e connettivo) che passa attraverso il simbolo. Scopro così. a distanza di quasi trent’anni, che il mio lavoro, che abbandonavo e consentivo a chiunque di prelevare o distruggere in vicoli e luoghi fondamentali della storia e della memoria Napoletana, sono stati custoditi per preservarne la storia.
Antonio Milanese è un artista e attivista, e storico docente di Arte dei metalli e oreficeria nel Liceo Filippo Palizzi di Napoli (oggi in pensione come docente, ma mai come intellettuale), ha custodito dei lavori che avevo dimenticato e abbandonato per strada, sottoponendoli a un test che reputo nodale, quello dell’attribuzione di valore da chi in loro impattava, la vera e unica selezione naturale tra un artista e un signor nessuno, determinata da terze parti disinteressate.
Rivederli mi ha chiaramente emozionato, ci sono lettere, fototessere di venti-trent’anni fa (mi piace attraverso la fototessera ragionare sulla mutazione dell’identità in relazione a ciò che si vive e stratifica negli anni, talvolta anche di giorno in giorno, di momento in momento, d’attimo in attimo, non c’è nessun documento che possa formalizzare questo nella nostra immagine sociale), ma c’è un lavoro, che nella mia produzione, trovo più simbolico degli altri, una tela che dietro ha oltre la mia firma (all’epoca firmavo genericamente “Mimmo”), la firma di Mimmo Germanà, non certo un pittore qualunque, mio padre aveva in studio un suo lavoro (si conoscevano e stimavano), io ero a corto di tele e vivevo tra il Laboratorio Occupato S.K.A e il sud dell’isola, da sempre in conflitto con mio padre e certi irrazionali valori di mercato, dipinsi sul lavoro di Mimmo Germanà (non l’ho fatto solo con lui, usavo fare ciò con i pittori e gli artisti che non stimavo e mi donavano il loro lavoro, l’ho fatto con un lavoro di Pino Giampà e anche con uno di Lucio Ddt art e chi sa con quanti altri in quel periodo), in questo caso il gesto era fortissimo visto il valore di mercato di Germanà, considerato l’antesignano della transavanguardia, chi sa se col tempo questo lavoro verrà ricapitalizzato in relazione all’essere stato un lavoro di Mimmo Germanà o una sua distruzione ready made che ne remixa l’impianto originale.
Quando avveniva questo? Nel 2007, abbandonai il quadro da qualche parte, in genere li lasciavo nelle mura greche di Piazza Bellini, Milanese lo prelevò custodendolo fino a ora nella sua collezione, non so se me lo restituirà come ha fatto il collezionista Gennaro Oliviero pensando d’avere poco tempo da vivere e sapendo di non avere eredi, Antonio Milanese ha eredi ed ha una collezione che spazia tra Maestri dell’arte contemporanea internazionale e locale (ha pezzi anche di Marco Rallo e del compianto Gennaro Cilento acquisiti tra fine novecento e primo decennio del millennio, quando come me erano giovani artisti), non avesse conservato questa memoria, non mi sarei ricordato d’essere stato Banksy prima di Banksy e d’essere andato oltre Duchamp con pochissimi che lo notavano.
di Mimmo Di Caterino