L’imponente portone di legno su cui svetta il disegno, un poco sbiadito, dell’antico stemma di Tempio Pausania, comune dell’Alta Gallura, si apre a fatica.
Il peso del tempo si fa sentire. E chi varca la soglia di quel portone che porta alla stazione ferroviaria, viene catapultato nel passato. Tutto nella sala d’attesa parla la lingua degli anni 30 del secolo scorso: il pavimento a scacchi nero e bianco, liso dai milioni di passi che ha sorretto, le pareti rivestite di legno scuro pregiato, le antiche grate di ferro battuto a proteggere lo sportello della biglietteria.
Ma è quando si alza lo sguardo che si viene rapiti da ciò che le pareti, tutte intorno alla grande sala, custodiscono da decenni: alcuni tra i capolavori del maggiore rappresentante della pittura sarda e nazionale del Novecento, Giuseppe Biasi, sono appesi lì, visibili al pubblico sempre, gratuitamente. Le sue donne sarde in abiti di tutti i giorni, i contadini raffigurati nel duro lavoro dei campi con i loro buoi e i loro aratri, il fanciullo che suona l’organetto, sono sotto gli occhi di chi entra dentro quella che un tempo era la zona d’attesa di una delle più importanti stazioni ferroviarie a scartamento ridotto del nord della Sardegna: collegava Tempio Pausania con la città di Sassari e con Palau, sulla costa nord orientale.
Oggi quel collegamento giornaliero si è interrotto, ma rivive nel periodo primaverile ed estivo grazie al Trenino Verde, una linea che ripercorre il tracciato da Tempio fino a Palau con alcuni vagoni restaurati e fatti viaggiare come un tempo sulla kinea a scartamento ridotto. Un vero e proprio museo, nel cuore della cittadina tempiese, che mai ci si potrebbe aspettare, con capolavori molto quotati e apprezzati dagli estimatori e collezionisti d’arte. All’inizio degli anni Trenta, Biasi realizza in Italia una serie di interventi decorativi e tra questi vi è la stazione ferroviaria in Gallura. Commissionata nel 1930 e ultimata in dieci mesi, rappresenta l’unico esempio di decorazione pittorica di Biasi oggi accessibile al pubblico.
Lo sa bene uno dei maggiori collezionisti delle sue opere, Luigi Angius, sassarese. Da anni è uno degli esperti conoscitori dell’opera pittorica di Biasi, suo compaesano. È lui che conserva nella sua collezione privata alcune tra le opere più affascinanti e ricercate dell’artista. E tra queste spicca “Serenità”. “È un dipinto al quale sono molto legato, – racconta Angius all’ANSA – perché è stato molto difficile farlo ritornare in Sardegna. Dopo la Biennale di Venezia nel 1928, in cui venne esposta, la tela non era mai più stata mostrata al pubblico. Quando l’ho riportata in Sardegna nella mia collezione, ho voluto esporla una volta, nella mia galleria”.
Angius parla della sua passione per il lavoro pittorico di Biasi con un tale trasporto che non può lasciare indifferenti: “Quello che fa innamorare delle sue pitture è l’atmosfera che crea, una composizione data dall’uso dei colori e delle pennellate che ti conquista subito. Si rimane incantati quando le si guarda. È Biasi ad aver creato il filone dell’arte sarda del ‘900, perché tanti artisti si sono poi ispirati a lui e con lui hanno lavorato. Pittore modernissimo, Biasi era molto aggiornato su ciò che succedeva all’epoca all’estero, ispirandosi molto a Gustav Klimt nelle sue opere degli anni ’10”.
Inseriti sopra la pannellatura in legno che riveste le pareti, i dipinti corrono tutt’intorno alla sala della biglietteria della stazione ferroviaria di Tempio, componendo un lungo fregio. I temi sono quelli cari all’artista: le donne di Osilo, i bevitori, i lavoratori dei campi e le donne che prendono il caffè. Di quest’ultima tela però, non vi è più traccia. Legata alla sua presenza vi è infatti una sorta di leggenda che vuole il dipinto trafugato durante i lavori di restauro delle opere. Se gli altri pannelli dopo la rimessa a nuovo vennero tutti reinstallati, di quel quadro si sono perse le tracce, quasi si fosse volatizzato. Di lui restano solo degli accenni e delle descrizioni su vecchi cataloghi d’arte e uno spazio vuoto in una parete della sala.