Nella mattinata di oggi la Polizia di Varese ha concluso una vasta operazione che ha portato all’esecuzione di 26 misure cautelari di cui 24 in carcere, 1 agli arresti domiciliari e 1 divieto di dimora in Lombardia e Piemonte, emesse dai Gip di Busto Arsizio, Novara e Lodi che hanno accolto le richieste delle rispettive Procure della Repubblica, nei confronti di un gruppo di persone, originarie del Marocco (eccetto un solo cittadino italiano con mansioni di autista).
Le persone sono indagate a vario titolo per i reati di tortura con uccisione del torturato, tentata estorsione, rapina, detenzione di armi e reati in materia di stupefacenti, in particolare spaccio nelle zone boschive in numerosi punti dislocati nelle province lombarde e piemontesi.
Gli arresti sono stati eseguiti in Lombardia nelle province di Milano, Lodi, Pavia e Cremona, e anche nelle province di Novara e Piacenza.
Parte dei soggetti destinatari – irregolari in Italia e senza fissa dimora – è risultata irreperibile. Un arresto è stato eseguito in Germania dalle autorità di polizia di quel Paese, attivate dall’Unità FAST italiana (incardinata nel Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia) a seguito della emissione del mandato d’arresto europeo da parte del Gip.
L’attività di indagine condotta dalla Squadra Mobile di Varese ha preso avvio nel maggio dell’anno scorso, dopo il ritrovamento del cadavere di un uomo privo di documenti, di probabile origine nord-africana, abbandonato seminudo in una piazzola di sosta a bordo strada della SS336 nel Comune di Lonate Pozzolo, con evidenti segni di violenza subita. Gli elementi raccolti, attraverso l’ascolto di decine di soggetti, servizi di osservazione, intercettazioni telefoniche e ambientali, acquisizione e analisi di tabulati e altro ancora, hanno consentito di comprendere che l’uomo ucciso – successivamente identificato per un ragazzo di 24 anni marocchino – aveva fatto parte di un gruppo di presunti spacciatori, tutti di nazionalità marocchina, facenti capo a due fratelli, dimoranti nel Milanese, gestori di diverse piazze di spaccio situate in zone boschive delle province di Milano, Varese, Novara, Pavia e Lodi.
Secondo quanto finora ricostruito, il movente della tortura a cui ha fatto seguito la morte del ragazzo sarebbe stato il furto di droga e soldi per un valore di circa 30.000 euro che il soggetto ucciso aveva compiuto qualche settimana prima nei confronti del gruppo di spacciatori di cui faceva parte, e per il quale lavorava con un complice in una zona boschiva posta a cavallo dei Comuni di Pombia/Oleggio/Marano Ticino, in Piemonte. Poco dopo aver iniziato le torture nei confronti del ragazzo, una donna – presuntivamente identificata poi nella compagna del capo del gruppo – aveva chiamato ripetutamente il padre di quest’ultimo, riferendo quello che stava accadendo e chiedendo il pagamento della cifra che il
ragazzo aveva rubato. L’uomo, che viveva in Spagna, aveva chiesto di liberare il figlio rendendosi disponibile a recuperare la cifra necessaria, chiedendo però del tempo a tale scopo, ma la morte del ragazzo è intervenuta prima che potesse recuperare la somma necessaria.
Nella disponibilità del gruppo criminale vi sarebbero state anche armi, sia bianche (machete), sia da fuoco (fucili e pistole), anch’esse occultate nei boschi di spaccio, ostentate sui profili Facebook e utilizzate per rappresaglie e in caso di contrasti con gruppi rivali (ad esempio a seguito della
sottrazione dei telefoni dello spaccio oppure per la conquista di un luogo di spaccio conteso). La maggior parte dei soggetti indagati ha precedenti o pregiudizi di polizia in materia di stupefacenti; il capo, inoltre, è stato denunciato in tre occasioni a partire dal 2020 per sequestro di persona e lesioni commesse ai danni di propri sodali nell’ambito dei contrasti legati allo spaccio di stupefacenti.