Lo scorso primo agosto è stato diramato un comunicato firmato da diverse sigle del panorama politico sardo per proporre «un’alternativa unitaria e antagonista al cartello di partiti oggi presenti in Consiglio regionale». Lo chiamano “secondo polo”, a voler intendere che i due poli maggiori, cioè “centro destra” al governo e “centro sinistra” all’opposizione sono in realtà un polo unico, un moloch bifronte che, con i suoi tanti e diversificati tentacoli, si rimbalza la palla da tre decenni sotto le mentite spoglie di una democrazia di facciata e che, sostanzialmente, pratica le medesime politiche classiste, colonialiste, ultra liberiste e anti popolari per svendere ciò che rimane della Sardegna e della sua gente.
Chi lo propone?
Intanto vediamo chi avanza la proposta. Le sigle che lanciano il terzo polo sono Rifondazione Comunista, Potere al Popolo, ProgReS, Partito Comunista Italiano, iRS e RossoMori, non Sardigna Natzione che invece si è sfilata perché non collabora con i partiti italiani. Le matrici ideologiche che costituiscono la base di questa proposta elettorale sono quindi due: anticapitalismo e sardismo radicale. Scrivo sardismo radicale perché in mezzo ci sono anche i RossoMori che non sono indipendentisti, ma lavorano per una revisione dei rapporti di subalternità tra Sardegna e Stato centrale.
Qual è la premessa dell’accordo?
(Ma prima lasciatemelo togliere un sassolino, che fra l’altro ci permette di capire un po’ di cose..)
Inutile nascondersi dietro ad un dito. Se non ci fossero le elezioni dietro l’angolo e se la legge elettorale non avesse una soglia di sbarramento così alta (5% per le singole e 10% per le coalizioni) questo matrimonio non sarebbe mai stato celebrato. Mi sembra chiaro che non si tratta di un processo politico sincero, ma di una convivenza forzata. Il fatto è che l’idea del “secondo polo” non è affatto nuova, anche perché la strada di una proposta sardista-popolare è stata ampiamente battuta negli scorsi anni. Prima della pandemia è stata lanciata una piattaforma politica che partiva appunto dall’idea di unire le istanze del lavoro e della critica alla svendita dei servizi e dei beni pubblici con le battaglie dell’autodeterminazione e dell’autogoverno. A vario titolo avevano collaborato a questa piattaforma Caminera Noa, Rifondazione Comunista, Potere al Popolo, Sardegna Possibile e i sindacati di base USB e Cobas Sardegna. Furono organizzate diverse campagne contro lo smantellamento della sanità pubblica, uno sportello psicologico durante il periodo della reclusione forzata (nel periodo più nero della pandemia) e incontri pubblici per discutere il percorso politico unitario, come quello dell’assemblea plenaria del 21 dicembre organizzata a Cagliari.
Il percorso non era andato avanti, forse anche a causa della mai digerita questione dell’autodeterminazione del popolo sardo da parte di sigle come RC e PAP ancorate ad una visione centralista delle conquiste sociali e fondamentalmente disinteressate – quando non apertamente ostili – a riconoscere la necessità di rimettere in discussione il rapporto di subalternità e marginalità della Sardegna rispetto allo Stato italiano.
Evidentemente l’approssimarsi delle elezioni e la severa critica della legge elettorale hanno suscitato un nuovo interesse in tal senso. Per un approfondimento su questi temi rimando ai miei testi (Compagno T. Lettere a un comunista sardo, Condaghes e Falce e Pugnale, per un socialismo di liberazione nazionale, Catartica edizioni).
Ricordo anche che alla prima riunione di Potere al popolo in Sardegna, io e tanti altri compagni, firmammo un appello perché questa nuova proposta politica accogliesse le istanze dell’autodeterminazione del popolo sardo e fondesse la questione sociale con quella nazionale e territoriale. Dal gruppo dirigente napoletano che aveva “lanciato la sfida” non esisteva alcun problema, anche perché nel documento di PAP a livello statale si riconosceva il diritto all’autodeterminazione. A bloccare tutto – con metodi non proprio limpidi – furono le solite
consorterie. Ricordo anche un intervento tracotante a Tramatza di un dirigente (fra l’altro pure ricercatore universitario) del PCI che sostenne più o meno la seguente tesi: “io non sono indipendentista perché sono comunista”, dimostrando fra l’altro di non capire la differenza tra indipendentismo e autodeterminazione (cioè le basi proprio: Lenin, La rivoluzione socialista e il diritto delle nazioni all’autodecisione).
Evidentemente il lievito dell’autodeterminazione ci mette tempo a fare effetto. Ma vabbè, meglio tardi che mai, come dice il saggio!
Qual è la premessa dell’accordo? (Ora lo vediamo davvero..)
Scrivono i promotori del terzo polo: «I valori ispiratori della nostra pratica politica sono quelli dell’antiliberismo, dell’autodeterminazione, dell’antifascismo, del pacifismo, dell’antimperialismo, del femminismo intersezionale, dell’anticolonialismo, dell’ambientalismo»
Buono. Le parole giuste ci sono tutte e la premessa politica mi sembra fondata, fra l’altro appunto mi sembra un rilancio della piattaforma di cui sopra (e di tante altre esperienze, in particolare dei laboratori politici che si sono costruiti negli anni nella mia città: Sassari in Comune e Sa Domo de
Totus).
I punti dell’accordo sono pochi ma centrati:
1. introduzione di un salario minimo garantito e reddito universale di base per le disoccupate e i disoccupati;
2. riconoscimento e attuazione del principio di autodeterminazione del Popolo sardo sulle scelte di governo della Sardegna;
3. dismissione immediata di tutti gli insediamenti militari e dell’industria bellica;
4. Moratoria dei progetti di colonialismo energetico
Non sto a fare l’elenco di tutti i laboratori e le “caminere” che negli anni hanno battuto questa strada, ma ce ne sono davvero tante. Magari scriverò un articolo storico per riassumere tutte le dinamiche dei vari percorsi politici fondati sugli stessi valori che ora vengono assunti a bandiera dal “secondo polo”. È sempre bene sapere da dove si viene, anche solo per non ripercorrere errori che hanno portato ad esaurire la spinta vitale di quei progetti.
Le obiezioni
Subito il secondo polo ha attirato un ventaglio di critiche, ma nessuna realmente centrata. Vediamole brevemente.
1. “Avete criticato Liberu che ha stretto l’accordo con il PD e poi andate anche voi con i partiti italiani”
No, Rifondazione Comunista e Potere al Popolo non sono uguali al PD. Queste sigle hanno una marea di problemi strutturali, a partire dal loro essere articolazioni di linee politiche non elaborate in loco e quindi fondamentalmente incapaci di leggere le dinamiche della subalternità che ci riguardano, ma è una cretinata dire che hanno le stesse responsabilità di governo, le stesse politiche coloniali e la stessa linea anti povera gente e guerrafondaia del PD. Trattare da pari a pari con queste sigle, mettendo nero su bianco una serie di valori comuni tra cui quello all’autodeterminazione del popolo sardo, non equivale a fare da carta da parati al PD e ai suoi gregari. Chi lo dice o mente sapendo di mentire o ha un grave problema di aderenza alla realtà.
2. Bisognava fare un polo solo indipendentista
No, e l’ho ribadito anche all’incontro indipendentista di Abbasanta. Il momento richiede che si raccolgano tutte le forze contrarie al moloch. Anche soltanto porre tre temi fondamentali e di vitale importanza come democrazia politica (abrogazione attuale legge elettorale); democrazia energetica (moratoria progetti energetici e attribuzione poteri sovrani alle comunità attraverso una legge regionale); democrazia sanitaria (ripristinare il servizio sanitario pubblico e sradicare i finanziamenti pubblici a quello privato) sarebbero tre grandi passi verso l’indipendenza. O no? L’indipendenza è un processo di consapevolezza e acquisizione di forza popolare, non un giochino linguistico o un atto di fede.
3. È un accordo solo elettorale, quindi non ci riguarda
È vero, probabilmente nelle intenzioni di molti promotori le cose stanno così. E che vuol dire? La storia non è una cosa che se non si realizzano tutte le condizioni che io avevo pensato nella mia testa allora non ci gioco. La storia, al contrario, è una sorta di lungo corridoio cieco, dove non si capisce bene quale sia la destinazione e poi a volte si aprono delle porte, spesso per brevissimo tempo, e lì bisogna scegliere se entrare o non entrare e giocarsi quello che si ha nel poco tempo che si possiede. Non lo dico io, lo diceva Machiavelli (non con queste metafore),
ma il fatto è che la politica sarda è profondamente primitiva e se aspettiamo che si realizzi il percorso perfetto, nei tempi giusti, con le persone che ci piacciono.. campa cavallo e intanto i colonialisti fanno ciò che vogliono!
Qual è il grosso problema?
Torniamo ai punti politici del “Secondo polo”. Sulla carta è tutto bello e tutto buono, ma basterà? Adriano Sollai, il segretario di Progres, al quale fra l’altro sono legato da una comune militanza in A Manca pro s’Indipendentzia e, in particolare, al lavoro di redazione del giornale Sobèrania che è stato per me uno dei periodi di formazione politica più fecondi, ha scritto che con questa mossa si è lanciato «un sasso nello stagno della politica affaristica e asservita e che vuole creare un'onda democratica e plurale». Secondo me centra il punto. O questa cosa si apre a raggiera o morirà nel dopo elezioni, ammesso e non concesso che si arrivi a quella meta. Aprire uno spazio politico così importante sotto elezioni non è affatto una buona idea. Sotto elezioni succedono un sacco di cose, c’è uno stress enorme, bisogna scegliere i candidati, bisogna raccogliere le firme (mentre gli intruppati con il PD vanno freschi freschi in TV a fare gli antagonisti, perché le firme non devono raccoglierle e garantiscono per loro gli autori della tanto detestata legge elettorale!). Chi ha partecipato alle elezioni lo sa. Sono percorsi che andrebbero costruiti nel tempo e hanno bisogno di dibattito e pratiche comuni. E c’è il grosso problema dello scegliere il candidato o la candidata presidente che, con le regole attuali, gode di un potere assoluto di fronte al quale spariscono le istanze dei vari soggetti promotori. Insomma a seconda del candidato che si sceglie, si rischia di oscurare una sensibilità politica rispetto all’altra ed è facilissimo che succedano i patatrak.
Chi ha seguito la scena politica alternativa coloniale degli ultimi anni sa bene di cosa parlo.. Aggiungiamo che una cosa sono i documenti scritti su carta, altra cosa sono le reali credenze delle persone reali che si siedono al tavolo. Non nascondiamoci dietro ad un dito. I valori che si affermano non sono realmente condivisi, ma sicuramente sono il frutto di un lavoro di grossa mediazione terminologica, dove ogni parola è pesata per fare quadrare il cerchio. Al netto di alcune biografie che fanno eccezione, i militanti di Potere al Popolo, di Rifondazione e soprattutto del PCI sono convinti di essere cittadini italiani come gli altri e che l’unico problema della Sardegna sia il capitalismo, esattamente come può accadere in Brianza o al massimo a Ragusa. D’altro canto la matrice teorica degli indipendentisti coinvolti nel progetto è tutt’altro di sinistra, ma affonda le radici nel pensiero liberale o liberaldemocratico, sempre al netto di alcune biografie che fanno eccezione.
Insomma, ci sono tutti gli elementi perché l’alchimia non riesca, ma..
Le elezioni non bastano ci vuole la comunità
Da anni sostengo la necessità di rimescolare le carte e lanciare uno spazio politico nuovo che ponga alcuni temi di salute pubblica per i cittadini sardi. Ho chiamato in più occasioni questa idea “sardismo popolare”. Abbiamo pure il padre nobile con la sua bella cassetta degli attrezzi ancora oliata. Antonio Gramsci ha scritto pagine che dimostrano tutta la loro vitalità sulla Sardegna trattata come una “colonia di sfruttamento”. Le sue analisi sono state confermate negli scarsi novant’anni che ci separano dalla sua morte e il suo pensiero schiettamente sardista sta tornando oggi a galla, anche grazie al lavoro del collettivo decolonial Filosofia de Logu.
Proprio ripartendo da Gramsci, in Dare finalmente all’abbandono un movimento e un’anima (Catartica edizioni), ho anche abozzato una sorta di manifesto dei “dodici passi del sardismo popolare” dove, parlando al futuro, immaginavo i lineamenti di questa nuova comunità politica.
Introducendoli scrivevo questo piccolo cappello, per sostenere l’idea che il punto non potesse essere un mero accordo elettorale, ma che dovesse nascere una nuova comunità politica, capace di andare oltre certi schematismi e certe spigolature e – sempre per usare gli attrezzi di Gramsci – di “andare al popolo”. Lo ripropongo, abbiate pazienza per l’autocitazione ma è funzionale al ragionamento: In Sardegna la politica si divide in due grandi campi. Da una parte c’è il partito degli affari, della rapina, della subalternità e della predazione. Dall’altra chi aspira a cambiare le cose. I primi sono capaci di conservare il consenso grazie a diversi strumenti politici, economici, sociali e di comunicazione. I secondi sono spesso marginali, privi di una reale volontà di contendere e si accontentano di lotte marginali o parziali. Il nostro punto di vista è che bisogna cambiare prospettiva.
Dobbiamo riallacciare i fili con la società sarda, ristabilire la “connessione sentimentale” (Gramsci) con il popolo sardo, o almeno con le parti insofferenti e in ebollizione di esso. Ma ciò non è possibile farlo da frammentati, da tessere di un puzzle, senza una prospettiva chiara del “da dove” e del “verso dove”. Non è possibile farlo con la sola politica, servono anche la socialità, il mutualismo, la cultura. Esattamente 100 anni fa contadini, artigiani, pastori, pescatori e piccoli intellettuali, dopo il disastro della carneficina mondiale e dopo 13 mila caduti, si incontravano a Macomer e si proponevano di «dare finalmente all’abbandono un movimento e un’anima». Se vogliamo riprendere quel filo dobbiamo però capire bene cosa portare con noi e cosa lasciare e dobbiamo capire che dobbiamo farlo insieme e come farlo. Dobbiamo spogliarci dei nostri castelli identitari e smettere di pestare lo stesso buio nel mortaio. Dobbiamo farlo Noi. Insieme. Noi insieme. Nois paris.
Tutto questo per dire che o si ha il coraggio di uscire fuori dalla mentalità del “cosa facciamo alle elezioni?” o l’operazione che si sta facendo nasce morta. E allora, cosa vuoi dirci Sabino?
Porte aperte!
E allora, amici promotori del “secondo polo”, aprite le porte!
In Sardegna ci sono delle emergenze gravissime, dei veri e propri punti di salute pubblica. Usate la campagna elettorale per fare gridare le comunità in lotta, aprite a chi, in tutti questi anni, non ha frequentato salotti e studi televisivi, ma piazze e quartieri, scuole e tancas. Date priorità alla prassi, date il microfono alla lotta e non chiedete nulla in cambio. Mollate questioni terminologiche e gettativi con tutte le forze ad aggredire gli avvoltoi che stanno spolpando la vita dei sardi.
Fate vedere che un’altra Sardegna è possibile e che un’altra Sardegna è già in marcia. Mettete da parte tatticismi e sterili questioni sui candidati, partite dal presupposto che se questo nuovo spazio politico dovesse prendere anche solo l’1%, sarebbe comunque un buon inizio, perché è la strada giusta, la strada che ha un futuro. Ci saranno comunità dove la lealtà e la coerenza verranno premiate. Eventualmente si ripartirà da lì e in ogni caso la voce degli invisibili per una volta sarà emersa dal baratro. Guardatevi bene dal fare discorsi da politicanti consumati come “i sardi non ci hanno capiti” nel caso non si superi la soglia fascista del 5%. Crediate in quello che avete scritto, perché quello che avete scritto è giusto ed è sacrosanto, se non rimarranno solo parole.
Con molti di voi ci siamo visti alle due manifestazioni davanti al Mater Olbia, contro i finanziamenti pubblici alla sanità privata lanciate da Caminera Noa. Ci siamo visti alle manifestazioni davanti ai cancelli delle basi militari indette da A Foras. Ci siamo incrociati negli scioperi del sindacalismo di base e in particolare nelle piazze della USB e dei Cobas Sardegna, nelle mobilitazioni contro il carovita, nelle comunità in rivolta contro la speculazione energetica.
Il terreno di gioco è chiaro, certo non abbiamo clientele alle ASL o posti da consulente ai lavori pubblici da esigere.. Aprite le porte e fate entrare questo vento nuovo ad animare un progetto che altrimenti vi crollerà addosso, con l’aggravante di aver bruciato anche questa carta sull’altare della ragion di bottega. Lo devo dire in tutta franchezza: non condivido molto del metodo con cui ci siete arrivati. Chiamata chiusa, discorso tra sigle di cui diverse non rappresentative di nessuna lotta reale, dibattito tra quattro mura e come sempre a ridosso delle elezioni.
Ma il fatto è che avete avanzato il passo e vi siete assunti una responsabilità. E quando qualcuno fa un passo nella direzione giusta anche se con la tecnica sbagliata, non bisogna fargli lo sgambetto, bisogna far continuare il ballo e alzare la musica.
Di Cristiano Sabino