Questa mattina verso le ore 08:30, 14 cittadini e cittadine di Ultima Generazione hanno bloccato il traffico a Roma, nella tangenziale Est, alcune sedendosi sull’asfalto della carreggiata del senso di marcia che conduce verso la zona Nomentana e altre calandosi da un ponte di via delle Valli. Con loro alcuni striscioni con scritto “NON PAGHIAMO IL FOSSILE”. I cittadini della campagna di disobbedienza civile per tutta la durata dell’azione hanno dialogato con gli automobilisti presenti, discutendo della gravità della situazione climatica corrente e dell’inaccettabilità dell’inazione della Politica per contenerne i danni. Dopo pochi minuti di blocco, sono arrivate sul posto le Forze dell’ordine, che in poco tempo hanno fermato i presenti che si trovavano sulla strada, mentre alle ore 10:00 è iniziato l’intervento dei Vigili del fuoco per portare via le persone che erano appese al ponte e si è concluso dopo 30 minuti. Il traffico è stato bloccato in diversi intervalli. Le persone portate via dalla polizia in alcuni commissariati della zona.
“Sono Carlotta e ho 33 anni, oggi sono qui perché non so più cosa fare per farmi ascoltare dal governo. Trovo profondamente ingiusto, sbagliato, immorale e crudele vedere che mentre le famiglie nelle Marche e in Emilia Romagna vivono la paura degli eventi estremi causati dalla crisi ecologica, il nostro governo continui a farsi comandare da Eni, che con sfregio per le famiglie a rischio e in povertà continua a fare soldi investendo in petrolio gas e carbone, cause del disastro che stiamo vedendo in questi giorni. Quanto ancora deve succedere? Quante famiglie ancora devono perdere la casa e vite umane perché si ponga fine a questo orrore? Non sappiamo più cosa fare, chiediamo che si smetta di investire in combustibili fossili e speriamo che la giustizia faccia il suo corso con Eni e il procedimento avviato da Greenpeace e ReCommon”.
Mentre in Emilia Romagna e Marche tre cittadini sono morti sotto il fango e l’acqua esondata dai fiumi e migliaia sono gli sfollati eventi estremi generati dal collasso climatico, Eni e Governo continuano a investire scelleratamente nel fossile. Il 2022 è stato l’anno d’oro di Eni: il cda ha brindato ai 20,4 miliardi di euro di utile operativo adjusted, la maggior parte del quale (13,3 miliardi) è stato ripartito tra gli azionisti. Quest’anno dunque Claudio Descalzi è stato riconfermato per la quarta volta AD, dopo aver accompagnato la premier Meloni a fare incetta di gas in Algeria in nome di un presunto “piano Mattei” e delle sicurezza energetica nazionale; sicurezza energetica che diventa una scusa per continuare a investire nel fossile, il core business della partecipata di Stato. Il rapporto di Oil Change International uscito a maggio ci mostra quali sono i veri piani di Eni per il prossimo futuro, al di là del greenwashing da manuale praticato dalla multinazionale.
Piani incompatibili con tutte le raccomandazioni delle agenzie internazionali come IEA e IPCC per mantenerci nei limiti degli accordi di Parigi: l’incremento annuo nell’estrazione di petrolio e gas, nel 2023, passerà al 4% dal 3% del 2022, con un ulteriore aumento programmato al 2030. La partizione di capitale investito è chiara: nel 2022 è arrivata alla cifra di 8,2 mld di euro, di cui 6,4 mld sono finiti nel comparto di esplorazione e sfruttamento di combustibili fossili contro i 480 milioni destinati alla sigla “green” di Eni Plenitude. Questo significa che Eni investe circa 15 volte di più nei combustibili fossili rispetto alle rinnovabili. In assenza di un vero e proprio piano di transizione verso forme pulite di energia, il cane a sei zampe ha altri obiettivi, come quello di mantenere alte le sue emissioni climalteranti: 419 milioni di tonnellate nel 2022.
Per questo motivo il 9 maggio è stata notificata a Eni l’apertura di una causa civile da parte di Greenpeace Italia, Recommon e 12 tra cittadine e cittadini “per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui Eni ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone consapevole”. Alla sbarra non c’è solo Eni: sono stati chiamati in causa anche il ministero dell’Economia e delle Finanze e Cassa Depositi e Prestiti, in quanto maggiori azionisti di Eni. Lo Stato sembra essere il primo complice di queste politiche distruttive e assassine, oltre che avallando e favorendo le politiche di colossi come Eni, foraggiando con contributi pubblici (40 miliardi al 2021) l’uso dei combustibili fossili. Per questo siamo in strada a protestare: chiediamo lo stop ai sussidi pubblici al fossile.