Una differenza tra Napoli e Cagliari è nel come si vive il vernissage, nessun invito elitario, in fondo tutti si conosce tutti artisticamente e quelli che non si conoscono si dovrebbero conoscere (non conoscere chi ha a che fare con l’arte denota una profonda ignoranza di sete di conoscenza, non solo dell’altro, ma anche di se stessi). Ragion per cui, capita che Enzo Ramaglia mi dica, dobbiamo andare assolutamente al “Vernissage” dove c’è la mostra di Grazia Famiglietti e che, quando si stia per andare, ci raggiunga Maria Manna, storica artistica Indy della mia generazione del Rione Sanità, e dica: “sapevo che t’avrei trovato qui, andiamo?”.
Al Vernissage non c’è solo l’artista e la sua celebrazione, ma anche un Gallerista come Dino Morra e un artista come Maurizio Di Martino, insomma la storia dell’arte non solo Napoletana che da secoli in questi spazi si confronta, produce e riproduce.
I lavori di Grazia Famiglietti sono corpi che paiono radicarsi e vegetare, veicolando energie e conoscenze che da sempre viaggiano con l’umano e le sue specificità organiche, che non necessitano di distinguo identitari e culturali, proprio come biologicamente è il linguaggio dell’arte, naturalmente insito nell’umano, anche se da qualche parte qualcuno lo dimentica, ci sono al mondo realtà melanconiche che non sono Napoli, dove non è mai nata pubblica alta formazione artistica e dove l’arte è una questione privata fondata su conoscenze che determinano il possibile, e purtroppo col termine “conoscenza” non intendo la cultura, città metropolitane come Cagliari, che chi sa ora, con gli equilibri mutati in Regione, se avrà mai pubblica alta formazione artistica e derivanti vernissage in spazi aperti al pubblico, dove la conoscenza è fondata sulla comprensione e la conoscenza dell’altro.
di Mimmo Di Caterino