Isaac Jeoshua Singer, grande scrittore e fratello del premio Nobel per la letteratura Isaac Bashevis, nota subito sin dal primo giorno a Mosca e poi ripete più volte durante il suo viaggio in Russia tra gli ultimi e i primi mesi del 1926 e 27, a dieci anni dalla rivoluzione d’Ottobre e quattro dalla vittoria bolscevica e la fine della guerra civile, che quel che ”contraddistingue oggi l’intera città, l’intera Russia” è un ”miscuglio fantastico di moderno e antico in un’unica terra, in un unico luogo”, come dimostra sul Cremlino il coesistere della bandiera rossa comunista e l’aquila bicipite simbolo degli zar e della Chiesa.
E’ l’inizio, ma anche la forza vitale e contraddittoria che segnano tutto questo libro, per la prima volta tradotto in italiano, grazie al lavoro che la curatrice Elisabetta Zevi sta compiendo negli archivi dei Singer, nato dal viaggio come inviato del quotidiano yiddish di New York ‘Forverts’ di cui è corrispondente dalla Polonia.
L’autore aveva vissuto tra Kiev e Mosca per tre anni dal 1918, nel pieno dell’effervescenza e del caos rivoluzionario, e quindi scrive queste pagine capendo al volo cosa stia già cambiando e sapendo che ”nel corso di pochi mesi non è possibile arrivare a conoscere una parte di mondo immensa e complessa e nuova quale è la Russia odierna”, quindi proponendosi di non di dare giudizi ma di raccontare solo come il paese si fosse trasformato, scoprendone, senza pregiudizi, ”una nuova vitalità, nuove idee, un nuovo stile di vita”.
Sempre però in un gioco di contraddizioni e commistioni, a cominciare dalle vecchine che si fanno il segno della croce passando davanti al mausoleo di Lenin, in una piazza Rossa dove su un grande manifesto è scritto ”La religione è la droga di operai e contadini” e accanto, nella chiesa dalle cupole dorate, ”si accalcano i fedeli a centinaia” acquistando candele da accendere in onore della santa Vergine Maria. C’è ovviamente anche qualcosa di più indicativo, come ”la città che sta combattendo contro il commercio privato” è poi tutta un mercato, o drammatico per la presenza di ”mendicanti, storpi, ciechi, vagabondi, donne che chiedono la carità tenendo per mano i figli” mentre si aprono tante scuole; le masse di disoccupati mentre si dice che si aprono fabbriche che lavorano a pieno ritmo; la vita misera, le prostitute, le file per comprare qualsiasi cosa assieme a negozi costosi, locali notturni e ristoranti per chi ha i soldi o i funzionari governativi. La rivoluzione ha abbattuto la vecchia famiglia-fortezza in cui erano imprigionati milioni di individui, li ha liberati e fatti padroni del proprio corpo che non sanno gestire e ”le alunne ne sanno più di aborti che di aritmetica, gli alunni maschi sanno più di cose femminili che non di questioni sociali”, con la constatazione che ”il russo medio non tratta bene le donne”.
Così ci sono mille nuove case di riposo o di cura per operai e contadini, dove questi però sono mangiati vivi dai pidocchi.
Naturalmente poi Singer, anche come inviato di un giornale yiddish, indaga sulla vita degli ebrei, visita città e scopre che a Mosca la loro vita è un corpo quasi estraneo e produce antisemitismo, mentre a Minsk ”le scuole, i corsi, il teatro, il giornale, il tribunale e l’istituto scientifico yiddish sembrano cosa naturale. Quello che è innaturale è che non esistessero prima della rivoluzione”, aggiungendo con l’entusiasmo, oggi possiamo dire illusorio, della speranza: ”Avanti così per altri vent’anni, e in Russia non esiterà più una questione ebraica”. Poi c’è la vita delle campagne e nei piccoli shtetl, in Ucraina e in Crimea il fallimento delle fattorie ebraiche collettive, che invece pare prosperino in Bielorussia.
Da scrittore Singer si interessa alla cultura e l’arte che, dopo la libertà rivoluzionaria, viene rimessa in riga secondo canoni realisti. Da giornalista è sempre in viaggio e sono di particolare vivacità e ricchi di notizie reali sulla vita quotidiana i tanti dialoghi che intesse in treno o su una carrozza, perché il resoconto è proprio in presa diretta e tutti parlano (”io sono un genere di persona – esclama un russo orientale – che crede nella verità, mentre voi siete un comunista”), anche se ci sono occhi e spie ovunque, scrive Paolo Petroni per l’Ansa.