A chi serve un giornalismo senza notizie sgradite al potere? Il 3 maggio scorso, nella ricorrenza della trentesima edizione annuale della Giornata mondiale per la libertà di stampa (WPFD) l’UNESCO ha invitato tutti a riflettere su questo tema, partendo dallo stato di salute del giornalismo, invitandoci a riflettere sul fatto che il giornalismo che ogni giorno ci inonda di informazioni di ogni tipo e di ogni sorta non è in grado di fare conoscere tutte le informazioni che noi cittadini abbiamo diritto di conoscere per partecipare alla vita pubblica e fra esse, in particolare, le informazioni che il potere e i potenti non gradiscono: le critiche, le notizie che preferirebbero non fare conoscere per non danneggiare la propria immagine.
L’Agenzia dell’Onu ha posto la questione in modo ironico rivolgendosi direttamente ai lettori dei giornali. Lo ha fatto, pubblicando una pagina di pubblicità a titolo gratuito sui quotidiani di vari paesi: fra gli altri il New York Times, Il Guardian, Le Monde e, in Italia, Repubblica, Avvenire, Domani.
La pubblicità simula graficamente una pagina di giornale con alcune notizie. Quelle di questa pagina hanno tutte questo titolo: “Va bene” e il testo di ogni notizia ripete infinite volte le stesse due parole: “Va bene. Va bene. Va bene…”. In fondo alla pagina, accanto al logo dell’UNESCO c’è questa frase: “Se va bene per le notizie, c’è qualcosa che non va nel giornalismo”.
E’ facile capire che cosa non va: non è facile pubblicare informazioni, inchieste, notizie, opinioni sgradite al potere e ai potenti, molti d quelli che ci riescono subiscono minacce e ritorsioni di vario tipo.
Negli ultimi anni è diventato sempre più difficile. Chi pubblica queste notizie subisce sempre più spesso intimidazioni e ritorsioni anche per via legale, con querele e cause per diffamazione pretestuose, temerarie, infondate con le quali si abusa del diritto di querela e di promuovere cause con richieste di risarcimenti che mettono a rischio il patrimonio personale dei giornalisti e l’esistenza dei giornali.
Sta accadendo ovunque nel mondo, anche in Italia, ci ha informato la stessa UNESCO. Questo modo di ostacolare la libertà di informazione, di censurare le notizie sgradite si sta estendendo ovunque, infettando sempre più i paesi democratici e privando i cittadini di quella parte critica dell’informazione che è ciò che giustifica storicamente l’esistenza del giornalismo.
Ma a cosa e a chi serve un giornalismo depurato delle notizie critiche sul potere e su chi lo esercita? Un giornalismo si dovesse impoverire ancor di più di questa sua componente organolettica, potrebbe ancora chiamarsi giornalismo?
Se lo sono chiesto i leader politici che il 3 maggio hanno partecipato alle solenni celebrazioni della Giornata Mondiale per la libertà di stampa. Come avviene ormai da diversi anni, hanno constatato con costernazione che le condizioni di salute della libertà di stampa continuano a peggiorare. Fra gli altri, ha espresso preoccupazione Vera Jourova, vice presidente della Commissione Europea.
Non si conoscono commenti dei leader italiani. Eppure il malessere del giornalismo italiano è noto ed è stato autorevolmente certificato da tempo e non soltanto da Ossigeno per l’Informazione con i dati sulle minacce ai giornalisti.
Lo ha certificato, pochi anni fa, quand’era ancora in attività, l’Osservatorio sul Giornalismo dell’Agcom, il centro di analisi che ha studiato e analizzato la crisi del giornalismo italiano nel modo più serio e approfondito.
Questo Osservatorio ha analizzato, ad esempio, il flusso di informazioni diffuse dai giornali italiani nel primo semestre della pandemia da Covid 19, facendo osservare che, in massima parte, giornali e giornalisti, in quel periodo, sul diffondersi del contagio e sul modo di contrastarlo, si sono limitati a trasmettere ai lettori le informazioni ufficiali fornite dal governo e da altre autorità, mentre avrebbero potuto (dovuto?) fare di più.
In un altro rapporto, lo stesso osservatorio dell’Agcom ha detto che i principali problemi dei giornalisti italiani sono il precariato e le minacce.
Anche l’UNESCO ha recentemente fornito due studi di grande interesse: uno fornisce alcune linee guida ai procuratori di tutto il mondo impegnati in processi in cui sono imputati gli autori di reati contro i giornalisti. In questi casi, raccomanda l’UNESCO, oltre alla gravità del danno, occorre sempre accertare se le violenze siano una ritorsione contro una specifica attività giornalistica dell’aggredito. Un criterio forse banale, ma che spesso non viene seguito, neppure in Italia.
Con un’altra ricerca, l’UNESCO ha tracciato la preoccupante estensione a livello mondiale dell’uso scorretto del sistema giudiziario per limitare la libertà di stampa e di espressione. In altre parole, il dilagare (apparentemente inarrestabile) di quel fenomeno incontrastato che in Italia produce ogni anno migliaia di querele per diffamazione pretestuose , di denunce infondate che hanno il potere di fare girare a rovescio la macchina della giustizia, prostrando giornali e giornalisti che cercano di fare il lor dovere, e privando l’informazione di gran parte del suo contenuto più prezioso.
Come si vede le analisi, le diagnosi e le raccomandazioni degli esperti sul da farsi non mancano e basandosi su di esse qualcosa di buono si potrebbe cominciare a fare.