Carne chianina per il presidente, spaghetti all’astice per l’allora moglie Lyudmila, e per dessert crepe al mascarpone con frutti di bosco.
Sono passati molti anni, ma Antonio Rizzi ricorda bene i piatti scelti dai coniugi Putin la volta che lo ebbe come cliente, con ospiti cinesi al seguito. “Mi parlò in modo affabile, e poi accettò di farsi una foto con me”, racconta. A quel tempo il capo del Cremlino era al suo secondo mandato, Rizzi era chef in un noto ristorante della capitale, il Bellagio. Tra i clienti abituali il più assiduo era il ministro degli Esteri Serghei Lavrov, ma ogni tanto si faceva vedere anche Ramzan Kadyrov, prima di diventare il leader della Cecenia.
Da allora Rizzi, 59 anni, ha cambiato vita: adesso sta con la moglie russa e la figlia di otto anni a Vologda, 400 chilometri più a nord. Ha una scuola di cucina e produce salumi, formaggi, pesto e altri cibi italiani ai quali tanti russi non sanno più rinunciare, nonostante le sanzioni che bloccano le importazioni.
Solo lui fornisce al mercato sei tonnellate di mortadella al mese, e collabora a convogliare verso Mosca sette/otto tonnellate di formaggio grana su un totale di 12 tonnellate prodotte da un gruppo di giovani imprenditori italiani a Kirov, 800 chilometri a nord-est della capitale. Ma ogni tanto molla tutto e va in prima linea in Ucraina, nei territori occupati da Mosca, dove cucina per bambini, anziani, sfollati nei centri di raccolta e per i soldati russi.
Dal Donbass alla regione di Zaporizhzhia, fino a Kherson, lo chef viaggia portando con sé una padella battuta a mano di un metro e mezzo di diametro. “Abbastanza per preparare 250 pasti in una sola volta”, assicura. Così come assicura che la sua “non è una scelta politica” ma un modo di “aiutare e portare un po’ di distrazione a povera gente” e che farebbe lo stesso “per quelli dall’altra parte”. Anche perché “queste sono popolazioni miste, non c’è nessuno che non abbia un parente o un amico dall’altra parte”. “Tutti sono carne da macello, la guerra la fanno i mercenari”, dice. Nei suoi viaggi Rizzi è spesso accompagnato da un amico cantante, Yuri Kotik, conosciuto quando si esibiva nei ristoranti. “Quando torniamo a casa – dice il cuoco – ci sono ragazzi che continuano a chattare con lui, ci chiedono quando torneremo. Mi creda, c’è gente laggiù che aspetta solo questo”.
Rizzi, originario della provincia di Brescia, dice di “amare” l’Italia. Ma è chiaro che la sua idea su come mettere fine al conflitto è diversa da quella del governo italiano. “Questo non è qualcosa che si può risolvere sul campo andando fino all’ultimo ucraino – afferma -. Se fossi il capo di una nazione dove la gente viene ammazzata ogni giorno, mi metterei in ginocchio perché non venga più ammazzata. Il resto si può risolvere dopo”. Più oltranziste le posizioni di altri italiani che nel Donbass ci vivono. Alcuni di loro – una decina si dice – hanno combattuto nelle file delle milizie filorusse. “Anch’io voglio la pace, ma solo dopo la vittoria”, dice all’ANSA uno di loro.
Anche l’ex combattente è impegnato in iniziative di beneficenza per la popolazione civile. E così altri gruppi di connazionali che vengono dall’Italia per brevi periodi. Ad aiutarli c’è anche un sacerdote ortodosso russo che parla bene l’italiano perché ha vissuto a Vicenza. Vogliono venire qui per rendersi conto con i loro occhi di qual è la situazione, dice Rizzi. Come lui: “Prima di tutto sentivo il bisogno di verificare di persona – dice -, non ho mai creduto alla cieca.
Qui ho trovato organizzazioni che cercano di aiutare povera gente che non ha nessuna colpa, e mi sono unito a loro, invece che stare a casa a parlare. Ogni volta torno da questi viaggi stanco morto, ma con un bagaglio umano enorme. Cose che mi hanno aiutato anche a venire fuori da mie crisi personali”
Per i bambini Rizzi prepara quello che loro chiedono guardando i social: pasta alla carbonara, all’amatriciana, pizza. Per gli anziani, e per i soldati, carne e verdure
“Soprattutto per i militari, perché vivono con le scatolette. Quelli che non se li portano via le bombe, se li porteranno via le malattie”, dice.
Quanto alla durata del conflitto, la previsione di Rizzi è tetra. “Non vedo la fine – ammette – Perché chi stava bene prima sta bene anche adesso, c’è gente che si arricchisce con la guerra. E quando sarà finita, la riabilitazione sarà ancora più dura. Tornerà dal fronte gente che è capace di uccidere. Gente che adesso prende 250.000 rubli al mese (il salario dei contrattisti russi, pari a 2.500 euro, ndr). Non ci basteranno tutti gli psicologi”.