Sul mercato scarseggiano esplosivi e polvere da sparo, e il problema assume un rilievo di sicurezza nazionale. Perché le Forze Armate — come spiegano fonti accreditate della Difesa — soffrono di uno «scarso livello di munizionamento» che le mette in «seria difficoltà»., a riportare la notizia è il Corriere della Sera.
Questa è una storia che parte da lontano. Nell’ultimo decennio in Italia, a fronte di un drastico calo della domanda, sono scomparsi i due terzi delle aziende produttrici. Le moderne tattiche di guerra avevano modificato le esigenze militari e per ragioni di costi si preferiva acquistare all’estero quanto serviva. Ma con l’invasione dell’Ucraina si è tornati ai conflitti novecenteschi, costringendo tutti i Paesi a una corsa affannosa per aumentare le riserve.
La carenza delle «materie prime», complice lo sforzo per sostenere Kiev, ha fatto sì che oggi negli arsenali italiani manchino munizioni di artiglieria pesante e leggera. «Sugli scaffali — confermano dal Copasir — dopo sei decreti di aiuti all’Ucraina non è rimasto molto». E le società fornitrici non sono in grado di gestire le richieste: servirebbero investimenti ingenti, che solo commesse stipulate (e in parte saldate) potrebbero determinare. Risultato: al momento i produttori hanno una «capacità ridotta». Gli ordini di consegna per le munizioni sono a tre anni, che diventano sei per i missili, prosegue il Corriere.
In questo contesto Roma ha provato a contattare Washington per garantirsi il ripristino delle riserve, ma dagli Stati Uniti è stato risposto che «bisogna mettersi in fila». E la fila è lunga. Perché le difficoltà accomunano (quasi) tutti gli Stati dell’Unione europea, tant’è che nell’ultima riunione Ue si è deciso di attingere anche ai fondi di coesione per acquisti comuni. Da tempo in Italia, alti ufficiali dello Stato maggiore spiegano ai rappresentanti della politica che in queste condizioni, se in teoria il Paese venisse attaccato, «la capacità di resistenza sarebbe valutata tra le 48 e le 72 ore» .