Nuove acquisizioni di documenti nell’ambito della maxi inchiesta della Dda di Cagliari su una presunta associazione mafiosa operante in Sardegna con una fitta rete di intrecci tra la criminalità orgolese riconducibile a Graziano Mesina, la politica e le istituzioni isolane.
I carabinieri del Ros, che la scorsa settimana hanno fatto scattare il blitz con l’arresto di 31 persone, 13 in carcere e 18 ai domiciliari, sono tornati questa mattina in alcuni uffici pubblici del capoluogo per completare la raccolta di materiale utile per dare riscontro all’attività investigativa: alcune conferme sarebbero già arrivate e non si escludono sviluppi nei prossimi giorni, con la possibile iscrizione sul registro di nuovi indagati.
Secondo quando si è appreso, sarebbero stati acquisiti nuovi documenti negli uffici dell’ex assessora all’Agricoltura della Regione Sardegna, Gabriella Murgia, e in quelli del primario Tomaso Gerolamo Cocco, responsabile della terapia del dolore all’ospedale Marino di Cagliari, indicati dagli inquirenti come il punto di congiunzione tra i gruppi criminali e le istituzioni, entrambi in carcere.
Nel frattempo, entro questa settimana si concluderanno gli interrogatori di garanzia di tutti i 31 arrestati, la stragrande maggioranza dei quali si è avvalsa finora della facoltà di non rispondere.
Qualcuno, ma in sede di dichiarazione spontanea, si è detto completamente estraneo ai fatti, come l’allora assessora della Giunta Solinas, mentre uno dei presunti fiancheggiatori di Mesina, Giuseppe Paolo Frongia, ha negato di conoscere l’ex bandito di Orgosolo: secondo l’accusa, invece, avrebbe avuto un ruolo primario negli spostamenti di Grazianeddu durante la sua latitanza in centro Sardegna.
La scelta di non parlare, almeno in questa prima fase delle indagini, accomuna tutti gli avvocati difensori. Le carte da studiare sono tantissime: letti tutti gli atti, i legali avranno un quadro completo delle accuse e potranno valutare la linea difensiva migliore per i propri assistiti. C’è tempo sino a sabato per presentare istanza di scarcerazione o attenuazione della misura cautelare al tribunale del Riesame.
Sim intestate a stranieri e in uso ad alcuni indagati, smartphone lasciati in auto o dentro vasi di fiori, un’attenzione particolare per le conversazioni telefoniche, ma anche accortezze verbali per indicare le persone attraverso appellativi, allocuzioni o luoghi difficilmente accessibili ad estranei. Sono alcuni degli stratagemmi usati dai componenti della presunta associazione mafiosa smantellata la scorsa settimana dai carabinieri del Ros nell’ambito di un’indagine della Direzione distrettuale antimafia di Cagliari che ipotizza uno stretto intreccio in Sardegna tra la criminalità orgolese riconducibile a Graziano Mesina, politica e istituzioni. Il “modus operandi criminale”, si spiega nell’ordinanza di 407 pagine che ha portato all’arresto di 31 persone, è fatto da diverse “regole telefoniche” per evitare di incappare in qualche “trojan” che possa captare i colloqui.
L’accorgimento di utilizzare le sim intestate a extracomunitari serviva, secondo gli inquirenti, “per gestire le attività di traffico di stupefacenti”, ma le cautele – si evince ancora dall’ordinanza – erano adottate anche dai colletti bianchi che intercettati parlano di spegnere o lasciare i cellulari da parte magari facendo “una passeggiatina a piedi”. Dalle carte del gip risulta inoltre che gli indagati erano stati avvisati da una o più ‘talpe’ dell’attività investigativa in corso e per questo avevano messo in atto tutta una serie di misure per una “bonifica periodica” da microspie su auto e telefonini in uso ai componenti dell’associazione criminale di stampo mafioso.