Il movimento BRUCIAMO TUTTO arriva sul ponte Vittorio Emanuele II a Roma. Lᴈ attivistᴈ si dispongono in strada, srotolano uno striscione e danno il via alla loro azione. Si muovono sulla strada ballando la pizzica. Le macchine sono costrette a rallentare, creando un ingorgo nel traffico. Intanto lᴈ attivistᴈ sversano della vernice sull’asfalto, calpestandola e distribuendola sulla strada. Le macchine passandoci sopra lasciano una scia colorata sulla strada.
La scelta della pizzica è dettata dalla voglia di riconnettersi con la cultura popolare italiana e regionale. La pizzica è un ballo tipico del sud Italia che, secondo la storia, aveva lo scopo di liberare le “tarantate”, donne morse dalla tarantola, dal veleno del ragno. In realtà la tarantola non rilascia alcun veleno, e le tarantate altro non erano se non persone prese dall’isteria, che sfogavano con movimenti convulsi e veloci. Allo stesso modo noi vogliamo liberarci dal veleno del patriarcato, riconnettendoci con la nostra parte più folkloristica e sfogando la nostra energia con il movimento.
Pedro durante l’azione ha dichiarato:
“BRUCIAMO TUTTO è un movimento di liberazione. Nasce dalla necessità di porre fine a un sistema patriarcale, che opprime, molesta, stupra e uccide le persone socializzate come donne. Il governo è inerme di fronte alla gravità della violenza che dilaga ogni giorno nel nostro Paese, nonostante la cronaca parli chiaro: dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, altre diciotto donne sono state vittime di femminicidi e le loro storie sono cadute nel silenzio. Ma questa è soltanto la punta dell’iceberg di un problema molto più grande: lo Stato non vuole riconoscere il bisogno di una profonda trasformazione culturale, che dovrebbe iniziare dall’istruzione e continuare con provvedimenti legislativi per assicurare alle persone socializzate come donne il diritto ad una vita libera e sicura.
REDDITO DI LIBERAZIONE– La nostra richiesta riguarda un miglioramento del già esistente reddito di libertà: un contributo di euro 400 pro capite su base mensile per un massimo di 12 mesi alle donne vittime di violenza seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle regioni e dai servizi sociali. Questo contributo dovrebbe consentire e permettere l’autonomia e la fuoriuscita dalla violenza. In realtà però l’iter per ottenerlo è molto lungo e burocratizzato.
La nostra richiesta è di coinvolgere le vittime stesse, e psicolog3 e espert3 dai CAV nella formulazione di un reddito di liberazione più coerente con la realtà e i bisogni delle persone vittime di violenza. Utilizzeremo la disobbedienza civile nonviolenta per ottenere questa richiesta e per una profonda trasformazione culturale che abbatta ogni tipo di dominio sui vari livelli di intersezionalità. Non ci fermeremo nemmeno di fronte alle conseguenze legali in cui incorreremo a seguito di questa scelta”.