Oggi 4 attivisti di Fridays For Future Pavia hanno bloccato i cancelli della raffineria Eni di Sannazzaro dei Burgundi (PV). L’azione, svoltasi questa mattina, è consistita nel blocco del cancello principale della raffineria, tramite incatenamento, e dell’imbrattamento tramite vernice dell’asfalto di fronte alla raffineria.
Il movimento per la giustizia climatica ha scelto negli ultimi mesi di adottare nuovi metodi, tra cui la disobbedienza civile nonviolenta. L’intento è quello di mostrare che ogni movimento ha la possibilità di identificare nuovi metodi oltre a quelli tradizionali.
Venerdì 6 ottobre a Pavia si terrà la Climate Parade, una giornata di incontro con diversi eventi, proprio a sottolineare l’eterogeneità del movimento climatico.
La raffineria di Sannazzaro è un hub inavvicinabile della principale azienda del fossile in Italia, cioè Eni.
Si tratta di un impianto gigantesco in cui vengono lavorate milioni di tonnellate di greggio all’anno; è un polo legato a oleodotti che servono mezza Europa, e il più importante del nord Italia. La struttura, di 320 ettari, è il simbolo della gestione del territorio pavese e lombarda: i centri cittadini relativamente lindi e puliti mentre, nella provincia, vengono posizionati gli impianti e le aree più impattanti. La Lomellina in questo è capofila: ha visto in tutti questi decenni il completo abbandono dettato dalle grandi aziende, mentre la cosiddetta politica democratica si è limitata a osservare quello che stava avvenendo.
Non rilascia dati sufficienti di alcun tipo: chiaramente la trasparenza non è il suo forte, come abbiamo visto nei numerosi incidenti dell’ultimo decennio: abbiamo bisogno di trasparenza, di informazioni sui danni che fa ad ambiente e persone. La stessa trasparenza che manca a Eni, che pur di mantenere i propri segreti arriva a colpire chi si batte per la giustizia climatica, come nella recente causa a Recommon e Greenpeace.
Bloccare questo polo significa mandare un chiaro messaggio agli abitanti dell’area ma anche, simbolicamente, a tutte quelle persone che vivono in contesti simili, in tutta Italia: se le grandi aziende lucrano sulla nostra Terra, è nostro dovere bloccare questa macchina della morte, anche al costo di usare il nostro corpo per metterci tra gli ingranaggi di questo sistema.
“Questa azione vuole essere la prima di una mobilitazione italiana di questo tipo: ad oggi sono eccessivamente sporadiche queste azioni ai danni dei singoli impianti, ma non deve più essere così. Una dichiarazione di guerra non violenta che parta da una piccola città e da un movimento dal basso famoso per la sua relativa poca radicalità nelle azioni: ma allora chiunque può farlo!
D’altra parte l’azione rientra anche nell’attacco alle grandi opere di cementificazione presenti a Pavia e in Lombardia. Una parte fondamentale è, tramite un’azione dirompente, arrivare al dialogo con i cittadini che vivono in queste aree, per dare loro una speranza mobilitativa a tutti i livelli.
Parte fondamentale sta poi nel dialogo con i lavoratori: dobbiamo parlare direttamente con chi lavora e produce per raggiungere anche i sindacati, ma a partire dal basso.
Vogliamo la chiusura di questi impianti, ma in primis vogliamo che una mobilitazione disobbediente parta dalle città che non l’hanno mai vista messa in pratica, affermano i militanti ambientalisti.