Brandizzare identità, comunità e popolo?

L'Opinione di Mimmo Di Caterino

Compare a Napoli, in Piazza Municipio, il brand Napoli che, a dirla tutta, non mi pare renda onore creativo alla città di Napoli e neanche all’Assessore all’attività produttive Teresa Armato e all’amministrazione del Sindaco Gaetano Manfredi in generale.

Il progetto mi venne segnalato un mese fa, da una curatrice isolana Martina Carcangiu, chiedendomi come stesse reagendo Napoli a una cosa che a lei pareva artisticamente e culturalmente debole, piatta e generalista, mi riservai di commentare l’installazione una volta collocata, è arrivato il momento: L’opera è dell’Architetto Marco Tatafiore, e lasciatemelo dire, io vieterei gli interventi di public art e di design urbano agli architetti per partito preso e statuto giuridico, non per altro, non hanno nulla della ricerca di senso e di sintesi dell’arte, oggi gli Architetti sono come i Geometri del secondo dopoguerra del secolo passato, intervengono dove possono nei lavori pubblici in una modalità tecnica, come in questo caso, con un’opera grafica che si propone di Design perché ammicca a scatti fotografici di turisti seduti nel brand Napoli, nel nome della capacità di Napoli di fare sentire tutti Napoletani. Sono io troppo duro? Interpello a caldo degli amici, l’artista Valentina Guerra mi dice: “Manca una ricerca che provi ad andare oltre tutto quello che già si vede o si dice su Napoli. Uno spirito critico che ne tiri fuori il bello e non il vacuo.

Invece è tutto un piattume di idee, puro lucro (di pochi). “Gli architetti sono qua Hanno in mano la città”…, avevano ragione gli After.” Come darle torto? Il fotografo Giovanni Circelli, mi dice: “L’unico rimedio è coprire con stracci, scampoli e calzini.” Sarebbe una soluzione, anche un’interessante e reale interazione con la “Venere degli stracci”, le due installazioni di fatto si contenderanno durante la convivenza selfie di turisti in transito culturale (?) a Napoli. Per Carlo Olivari è tutto semplicemente “Osceno! Una porcata, scusa se commento pragmaticamente.” Cosa aggiungere per raccontare questa guida turistica a cielo aperto (nella parte posteriore)? Quanto sia costata l’operazione non lo scrivo, più che troppo, se si relaziona un lavoro del genere al mercato privato, lavoro più che altro grafico. In fondo il brand Napoli con le sue skyline che passano per “Un posto al sole”, “Gomorra”, “Mare fuori” è già un brand, al turista serviva questo progetto per capire dove è arrivato e farsi un selfie? Fargli vedere Il San Gennaro di Jorit e piazzetta Maradona? Sono tantissimi gli artisti visivi (e non gli studi grafici di Architetti) che avrebbero potuto sintetizzare l’energia di Napoli in maniera poetica.

Capisco che la Venere di Pistoletto potrebbe essere esposta dovunque al mondo e disturberebbe nella stessa maniera, ma il Maschio Angiono sullo sfondo o il Vesuvio non bastavano a fare capire che si è a Napoli? Altro aspetto triste, gli innumerevoli selfie (che avevo predotto) di turisti seduti nel logo (che dovrebbe essere indiscutibilmente geniale perché permette d’essere seduti tra i caratteri grafici della scritta Napoli), non rischiano di determinare l’effetto di derisione della medesima? Napoli aveva bisogno di questo brand per farsi riconoscere e conoscere? P.S. Dopo qualche giorno, parrebbe perché danneggiato dal caldo, il lavoro è stato celato e impacchettato, come un brand da cartolina di Christo, no, non fate ulteriori battute, le cose belle e da cartolina, nell’arte contemporanea, vanno impacchettate bene.

di Mimmo Di Caterino

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