”Ce l’ho chiusa nella testa” la guerra, scrive Louis-Ferdinad Céline ferito alla testa vicino a un orecchio e al braccio destro durante uno scontro all’inizio della Grande Guerra, nel 2014 mentre era in missione per il suo reggimento nei pressi di Ypres.
Il giovane ventenne è così ”perseguitato da un orribile baccano che sfondava la testa” ed è come se scrivesse per sfuggirlo, per sovrastarlo e salvarsi, aggrappandosi al disastro del mondo che lo circonda fin dentro un ospedale da campo allestito nella navata di una chiesa, sempre in prima persona, come nel suo stile diretto e coinvolgente, legato a una dolorosa necessità e felicità di scrittura.
Questo racconto di un centinaio di pagine, intitolato ‘Guerra”, è la trascrizione a cura di Pascal Fouché di una prima stesura di un manoscritto, uno di quelli scoperti tra quelle che erano nel suo appartamento di Montparnasse e che sembravano andate perdute. Sembrerebbe legarsi in modo non casuale e anche cronologicamente al romanzo ” Viaggio al termine della notte”, del 1932, ma ci sono prove che fu scritto qualche anno dopo e Francois Gibault nella sua nota introduttiva lo vede come ”un resoconto… registrazione di ricordi reali… che pagina dopo pagina diventa sempre più romanzesco”, ovvero finisce per appartenere alla creazione letteraria di Céline sempre così affondata nella realtà, anche se distorta dal suo modo di viverla e raccontarla per renderla più vera, cruda, paradossale come l’esistenza stessa.
Si tratta di un testo grezzo, eppure ricco di ripensamenti e cancellature da parere già abbastanza lavorato, che ha subito minimi interventi, da una correzione illeggibile ripristinata con la versione precedente a parole particolari o di difficile decifrazione che sono state messe in evidenza. Del resto sappiamo che sarà lui a minacciare i propri editori se avessero cambiato anche una sola virgola dei suoi scritti. Così la lettura appare fluente grazie a una scrittura intensa e quella densa narrazione personale, affabulatoria e avvolgente così ben resa in italiano da Ottavio Fatica, e che, anche in questo caso, vive di una serie di incontri particolari, a cominciare dalla infermiera l’Espinasse che sembra assieme dare e succhiargli via quel po’ di vita che è rimasta al povero Ferdinand. Ci sono poi i ”piagnucolosi” genitori in visita e la cantiniera Onime che reclama un credito di 322 franchi, ma soprattutto il malavitoso Bébert e in particolare sua moglie Angèle, prostituta che esercita anche al fronte. Così il racconto passa dai sanguinolenti e dolorosi resoconti fisici e medici a episodi di una sfrontata e assoluta sessualità, sempre osservando tutti con occhi che colgono l’estremo, il comico e il grottesco di ogni situazione.
Questo in quella realtà sempre più romanzesca come è in effetti e come sempre ce la racconta Céline, sino a quando il suo Ferdinand non si imbarcherà all’improvviso a Boulogne per l’Inghilterra, commentando, in una pagina finale che vale tutto il libro: ”Ci sono esseri così, è strano, sono carichi, arrivano dall’infinito, ti vengo a esporre sotto gli occhi il loro gran fagotto di sentimenti come al mercato…. Non sano presentare bene le cose. e tu non hai comunque il tempo di rovistare tra le loro carabattole…. Che fanno allora? Buttano via tutto? Non lo so. Che ne è di loro? Non se ne sa niente….
Certo che è enorme la vita. Ti ci perdi dappertutto”.