“Sguardi che Dialogano” è il titolo della settima Relazione al Parlamento presentata lo scorso 15 Giugno 2023, nella Sala della Regina della Camera dei Deputati, dal Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale.
ll Presidente del Collegio Garante, Mauro Palma, ha ricordato a tutti i presenti il lavoro portato avanti dal Meccanismo di prevenzione sin dalla propria costituzione avvenuta tramite i Decreti del Presidente della Repubblica 1 febbraio 2016 e 3 marzo 2016. Trentadue pagine che vista la scadenza del mandato e rivolgendosi al Parlamento di una nuova legislatura intendono sottolineare le persistenti criticità e porre le necessità d’intervento.
Il Presidente dell’Autorità Garante a nome del Collegio, ha toccato nel suo discorso le molteplici sfere che riguardano la detenzione nel nostro paese: l’area penale, la privazione della libertà dei migranti, il tema della salute e la custodia delle Forze di Polizia.
“Le raccomandazioni devono essere un tassello di costruzione di standard basati sul monitoraggio diretto delle condizioni in cui la privazione della libertà si esplica” è ciò che tiene a precisare il Presidente Palma, che prosegue: “Ho voluto sottolineare questa direttrice del percorso compiuto perché si realizza ora una tappa di tale cammino. È avviata la procedura per indicare un nuovo Collegio che prenderà il nostro posto e che garantirà la continuità, pur nelle differenze che il carattere e le culture di ognuno di noi può porre, del cammino avviato; proprio perché non si tratta di esprimere una posizione politica, bensì di adempiere a una funzione di garanzia”. …
“Con questo approccio abbiamo relazionato al Parlamento nei diversi anni”, chiosa Palma che, in riferimento all’area penale, partendo dai dati della prima Relazione al Parlamento nel marzo 2017, riporta:” abbiamo riferito il dato di 54653 persone detenute, presenti al 31 dicembre 2016″. Relativamente ai dati dell’anno appena trascorso, prosegue: “Al primo giugno di quest’anno le persone detenute in carcere sono 57230; includono 2504 donne, mentre ne includevano 2285 sette anni fa”.
Denunciando, che: “Resta alto – ed è andato aumentando – il numero di persone ristrette in carcere per scontare condanne molto brevi: 1551 persone sono oggi in carcere per scontare una pena – non un residuo di pena – inferiore a un anno, altre 2785 una pena tra uno e due anni. È evidente che una struttura complessa quale è quella carceraria non è in grado di predisporre per loro alcun progetto di rieducazione perché il tempo stesso di conoscenza e valutazione iniziale supera a volte la durata della detenzione prevista. Non solo, ma questi brevi segmenti di tempo recluso sono destinati a ripetersi in una sorta di serialità che vede alternarsi periodi di libertà e periodi di detenzione con un complessivo inasprimento della propria marginalità”.
Auspicando sempre: “Confido che su questo il Parlamento saprà impegnarsi, cogliendo lo stimolo che proviene anche da alcuni Sindaci e al fine di segnare un cambio di passo rispetto alla difficoltà e alla fragilità che oggi si vivono all’interno del carcere. A nessuno, infatti, può sfuggire la rilevanza che nell’ultimo anno ( 2022 , 85 suicidi n.d.r.) e in quello attuale ha assunto il numero di suicidi delle persone ristrette. Oggi, il numero di persone detenute che hanno scelto di togliersi la vita è già salito a 29 con in più altri 12 decessi per cause da accertare”.
I dati relativi ai minori e ai giovani adulti hanno, invece, mantenuto un complessivo equilibrio durante i sette anni: “quelli ristretti negli Istituti penali per minorenni sono, alla stessa data, 390, altri 3802 sono in messa alla prova e complessivamente il servizio minorile ha in carico 14473 minori o giovani adulti – erano 14212 quando relazionai al Parlamento la prima volta. Un rapporto che lascia alla detenzione in carcere una dimensione realmente residuale”.
Per quanto consta l’ambito penale: “non è possibile dimenticare poi che il periodo lungo questi sette anni è stato segnato dalla drammaticità delle condizioni interne ai luoghi di restrizione della libertà durante l’applicazione delle misure anti-Covid. Il carcere, in particolare, ha affrontato rivolte, ha visto vite perse nei tentativi di rispondere all’implicita disperazione che l’ansia generale e quella specifica di ritrovarsi in un luogo chiuso difficilmente rispondente alle norme igieniche caldamente consigliate, determinavano. Ma ha visto anche denunce di gravi episodi di maltrattamento e di offesa della dignità delle persone ristrette rispetto ai quali la Magistratura sta portando avanti il proprio compito e che in taluni casi hanno portato anche all’accertamento di primo grado e alle relative sentenze”.
“Tra i pareri e i Rapporti – riporta ancora la Relazione – vi sono quelli redatti in occasione del dibattito sulla possibilità di accesso alla liberazione condizionale per persone detenute che rispondono di reati “ostativi”, stimolato dall’indicazione della Corte costituzionale e dalla conseguente attività del Parlamento che ha portato al decreto-legge 31 ottobre 2022 n. 162. Vi è inoltre l’intero secondo Rapporto sul regime speciale ex articolo 41-bis co.2 dell’ordinamento penitenziario. Sono due temi che il Garante nazionale ritiene tuttora aperti”. Ricordando che: “il comma 2 di quell’articolo 41-bis è stato una misura aggiuntiva introdotta per affrontare uno specifico problema e per affrontarlo in un’ottica di progressivo superamento del problema stesso”.
Grande attenzione viene posta riguardo all’istruzione che, “non può essere una variabile muta nel percorso detentivo, tale che la sua assenza in ingresso rimanga invariata negli anni se non soggettivamente stimolata da una richiesta della persona ristretta. Non è tollerabile che ci siano ancora quasi 5000 persone che non hanno completato l’obbligo scolastico e che, anche restringendosi ai soli italiani, ci siano 845 persone analfabete e altre 577 che non hanno concluso il ciclo di scuola primaria di primo livello (nel vecchio lessico, la scuola elementare). Sull’investimento in istruzione chiediamo al Parlamento un’attenzione speciale, che non è soltanto di attuazione di corsi e di fornitura di relative risorse, anche e soprattutto col ricorso a ciò che le tecnologie dell’informazione e comunicazione possono offrire, ma è di indirizzo a una diversa organizzazione del tempo detentivo che l’Amministrazione dovrà conseguentemente attuare. Simmetricamente, un segnale positivo su cui riteniamo doveroso informare il Parlamento è dato dai 1427 iscritti ai corsi universitari”.
A proposito della privazione della libertà dei migranti, il Garante, indica alcune premesse ineludibili per affrontare il discorso: “La prima è che le migrazioni verso l’Europa soprattutto da parte di popolazioni provenienti dal Sud e dall’Est del mondo non costituiscono un evento contingente, destinato a ridursi drasticamente nel medio periodo e che, quindi, richiedono ai Paesi di destinazione, in primo luogo a quelli più esposti per posizione geografica, la capacità di una elaborazione prospettica degli scenari di interlocuzione, di coesione e di risoluzione delle criticità dell’integrazione; parallelamente richiedono ai governi l’adozione di politiche strutturali nell’affrontare le criticità e nell’individuare le potenzialità di tale processo. La seconda è che questa connotazione strutturale del fenomeno è sempre più confermata dagli scenari di conflitto, da quelli di crisi climatica e dal continuo riproporsi di politiche che non permettono a molti Paesi l’effettiva possibilità di contare sulle proprie risorse e che determinano sacche di povertà in territori potenzialmente ricchi di risorse naturali. La terza è che la stessa connotazione non episodica o emergenziale della necessità di migrare verso un ‘altrove’ europeo potenzialmente foriero di una vita diversa determina la necessità di una politica europea condivisa che sappia assumere una responsabilità comune”.
“Premesse che – per il Garante- continuano a non trovare atti corrispondenti sia nel complessivo ambito delle Istituzioni europee, sia nelle posizioni politiche di ciascuno dei Paesi del vecchio continente, incluso il nostro”. I dati prodotti dall’Autorità Garante, indicano eloquentemente: “che delle 6383 persone che nel 2022 sono state ristrette nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) soltanto 3154 sono state effettivamente rimpatriate. Il totale dei rimpatri è stato peraltro molto limitato: 3916,principalmente in Tunisia (2308), in Albania (58), in Egitto (329), in Marocco (189) – numeri piccoli rispetto al clamore frequente delle intenzioni annunciate”. Inoltre: “circa la metà delle persone trattenute – esattamente il 50,6 percento – ha avuto un periodo di trattenimento detentivo senza il perseguimento dello scopo per cui esso era legalmente previsto. Spesso senza che tale scopo fosse già ipotizzabile al momento dell’inizio del trattenimento stesso. Si è trattato, quindi, di una sottrazione di tempo vitale non giustificata di fatto dalla finalità che il primo comma dell’articolo 5 della Convenzione europea per i diritti umani assume come previsione per la privazione della libertà e che la stessa Direttiva europea sui rimpatri del 2008 (la direttiva CE/115/2008) ritiene non accettabile perché non caratterizzata da una credibile possibilità di attuare il rimpatrio”. Con la premessa che il Garante non intende intervenire su scelte politiche non competenti al suo ruolo, ma ritiene indispensabile la fruizione di tali dati al Parlamento ritiene:” determinante tenere sempre presenti tre tutele fondamentali che devono essere assicurate alle persone ristrette in struttura di questo tipo, siano esse i Cpr, gli hotspot, i cosiddetti “locali idonei” da utilizzare come una sorta di Cpr d’appoggio presso le Questure, fino alle navi quarantena che in anni recenti, nel periodo della necessaria cautela sanitaria per la crisi pandemica, sono divenute anch’esse luoghi di una privazione de facto della libertà”.
La tutela giurisdizionale: “laddove la libertà è privata, è la prima e fondamentale tutela e non può riguardare soltanto la convalida, da parte del Giudice di pace, del trattenimento in una di queste strutture, perché deve coprire anche la vigilanza sullo svolgersi di tale trattenimento”. La tutela della salute, fondamentale,” per ogni persona è esplicita nella nostra Costituzione che, spesso avara di aggettivi, utilizza proprio tale qualificazione nell’articolo 32 tratta per il diritto a tale tutela”. La tutela riguardante la connessione relazionale che: “è proprietà di ogni persona e che determina la trasparenza dell’azione di trattenimento.Qui il diritto alla tutela è duplice: riguarda la persona ristretta che non può essere isolata da ogni contesto in virtù di una irregolarità amministrativa e che troppo spesso non è neppure informata circa il possibile esito della propria situazione neppure nei casi in cui il suo rimpatrio forzato sia sul punto di attuazione. Ma riguarda anche la collettività che ha diritto di porre il proprio sguardo all’interno di tali luoghi, che sono invece chiusi alla possibilità di interazione con il volontariato, con le forme aggregate del territorio, con gli organi d’informazione. Questa assenza di connessione è plasticamente rappresentata dall’essere questi luoghi emblematici del vuoto, sia spaziale che temporale. Spazi spesso pensati solo per contenere, senza alcuna attività, né relazioni interne significative, in uno scorrere del tempo caratterizzato dall’indeterminatezza dell’esito del suo svolgersi. Una realtà in cui alberga fortemente la rabbia, il fallimento, il desiderio di distruzione e di autodistruzione”. … …”In questo quadro, Il Garante nazionale guarda con attenzione al negoziato sul nuovo Patto per la migrazione e l’asilo, sottolineando la positività della ricerca di risposte e linee di azione condivise. Resta tuttavia preoccupato riguardo all’estensione generalizzata del trattenimento in frontiera in luoghi connotati da formale extraterritorialità e alla possibilità di trasferimento forzato delle persone migranti verso Paesi terzi di transito, indipendentemente dalla connessione della persona con quel territorio, considerati sicuri, anche se non vincolati dall’adesione alla Convenzione di Ginevra. Il Garante nazionale è certo che di tali impegni verranno trovate formulazione e attuazione pienamente in linea con il nostro ordinamento costituzionale e distanti dalla tentazione di esternalizzazione delle nostre responsabilità di controllo e tutela”.
L’analisi del tema salute è relativa a quei luoghi in cui le persone possono essere ristrette, inclusi quelli di connotazione sanitaria e socioassitenziale, sinteticamente: “si tratta delle strutture aventi connotazione penale, dei servizi psichiatrici ospedalieri e della residenzialità di natura sociosanitaria e assistenziale. La prima direzione ha riguardato, quindi, le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, in acronimo le Rems. Al momento di insediamento di questo Collegio, nel febbraio2016, erano strutture del tutto nuove, in alcune regioni ancora non realizzate, in altre aventi carattere provvisorio – una caratteristica, questa, ancora oggi non del tutto superata in taluni casi. Più volte è stato sottolineato il valore di una riforma che ha sanato l’incongruenza di un residuo manicomiale rimasto intoccato per oltre quarant’anni dopo la trasformazione dello stesso paradigma psichiatrico operata nel 1978 con la legge di chiusura dei manicomi e con il suo complemento nello stesso anno con l’istituzione del Servizio sanitario nazionale. Per questo, nonostante alcuni tratti rendano le Rems ancora acerbe nel dibattito pubblico, occorre guardare positivamente al percorso intrapreso, potenziando laddove necessario l’effettività della presa in carico delle persone e della delineazione per ciascuna di esse di un piano terapeutico riabilitativo, tuttora invece definito soltanto per il 46 percento dei pazienti definitivi accolti”. … …”Vi è una evidente necessità di maggiore investimento, perché il diritto alla salute nei luoghi della difficoltà e, in particolare, della privazione della libertà non può ridursi all’estemporaneo, episodico e a volte ritardato accesso a prestazioni sanitarie in caso di sintomatologie patologiche o alla risoluzione di momenti di acuta tensione, ma deve caratterizzarsi per la continuità sul piano della prevenzione, della cura e dell’accompagnamento verso il benessere possibile”. … …”Sono due gli aspetti che – secondo l’Autorità di controllo- destano preoccupazione nell’esaminare in dettaglio il panorama delle 632 persone internate nelle attuali 31 Rems funzionanti. Il primo riguarda la percentuale delle persone accolte in misura di sicurezza provvisoria: il dato del 46,7 percento del totale ha certamente incidenza sul numero di coloro che pur in misura definitiva non trovano adeguata sistemazione e conseguente attenzione. Il secondo riguarda il numero complessivo di persone che sono state dichiarate destinatarie di tale misura e che supera di molto il numero di coloro che al momento della chiusura erano ospitati negli Ospedali psichiatrici giudiziari. Erano 698 a quella data (precisamente al 25 marzo 2015, secondo il Rapporto ufficiale del Ministero della salute e del Ministero della giustizia) i pazienti ancora reclusi in quelle inaccettabili strutture. Comprendevano non soltanto coloro che erano in misura di sicurezza, ma anche coloro che avevano elaborato disagio o malattia di tipo psichiatrico e che vi erano collocati in virtù dell’articolo 148 del nostro codice penale; e, ancora, coloro che erano in osservazione psichiatrica. Un insieme indistinto di situazioni soggettive diverse, ingiustificato da alcun fondamento di natura medica o giuridica – e purtroppo da taluni qua e là rimpianto”. … …”Dato incomparabile rispetto a quello attuale che, oltre alle 632 persone già accolte in Rems, ne indica altre 675 in lista di attesa e di esse 42 illegalmente recluse all’interno di ben 25 carceri, senza titolo detentivo”.
Secondo il Garante: “Non sono numeri banali: sono 12630 i presidi residenziali socioassistenziali e sociosanitari, per un totale di più di 400mila posti letto (411992) e attualmente 305750 le persone anziane, autosufficienti o meno e le persone adulte o minori con disabilità in essi ospitati. Questa attenzione, su cui il Garante nazionale ha già negli anni precedenti ampiamente relazionato, si è così estesa alle diverse strutture ove persone anziane o con disabilità sono ospitate e dove a volte permangono per periodi indefiniti non sempre corrispondenti alla previsione iniziale nel momento d’ingresso, né alla volontà allora espressa o a quella in seguito affermata. Sono situazioni di cui si sono talvolta interessati anche gli organi d’informazione e che si sono accentuate nel periodo di chiusura di tali residenze per motivi di profilassi nel periodo del Covid”. … …” Ancora lo scorso anno, nell’analoga occasione, ho osservato come l’area della residenzialità protetta, accudita, sconfini, in talune circostanze, col configurarsi come privativa della libertà de facto soprattutto per coloro che non hanno figure di accudimento da loro riconoscibili. Da qui la necessità che il Garante nazionale ha avvertito di individuarla come un’area di proprio intervento, in piena collaborazione con il mondo associativo molto attivo e reticolare che da tempo opera in questo settore”. Proseguendo senza indugi: “La sfida è sempre il «sostegno all’autonomia»”.
L’ultimo punto, che in realtà fu tra i primi affrontati alla sua nascita dal Garante, riguarda la custodia delle Forze di Polizia: “negli ultimi decenni del secolo scorso, l’attenzione degli organismi di difesa dei diritti fondamentali delle persone, soprattutto durante quel periodo difficile e a volte meno trasparente che segue un arresto, un fermo, un trattenimento nelle strutture delle Forze dell’ordine.
Il primo ambito d’azione del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti o pene inumani o degradanti, immediatamente dopo l’avvio della sua operatività, nel 1989, sulla base della Convenzione istitutiva, ha riguardato proprio le visite dei Commissariati dei diversi Paesi che l’avevano ratificata”, prosegue Palma, cosí:”sono stati definiti i diritti fondamentali che devono essere garantiti a ogni persona sin dall’immediatezza di quel periodo”. Inoltre:” Questi diritti, uniti a quell’ulteriore diritto che opera come ‘perimetro’ del loro insieme ed è espresso dall’essere informato dei propri diritti in una lingua effettivamente comprensibile, hanno costituito nel corso degli anni la base dell’attenzione degli Organismi internazionali di controllo della privazione della libertà da parte delle Forze di polizia e sono stati assunti dal Garante nazionale come fondamento di ogni ulteriore osservazione e valutazione degli spazi, delle regole procedurali seguite, del controllo delle corrette registrazioni, dell’individuazione di ogni oggetto impropriamente presente laddove una persona fermata o arrestata possa essere trattenuta o ancor più interrogata”. … …”Il particolare Protocollo d’intesa sottoscritto con i Comandanti generali dell’Arma dei Carabinieri che si sono susseguiti in questi anni ha trovato espressione concreta sia in una serie di venticinque incontri con tutti i responsabili territoriali ai diversi livelli in tutte le regioni condotti dal Presidente del Garante nazionale, sia nell’attività formativa di Marescialli e di giovani al primo ingresso condotti dalla specifica Unità operativa dell’Ufficio del Garante. Parallelamente sono state realizzate attività formative comuni con la Polizia di Stato a livello generale, soprattutto nei primi anni quando era più impellente diffondere la conoscenza della nuova Autorità di garanzia, e a livello specifico relativamente ai corsi per coloro che operano le scorte delle persone straniere da rimpatriare”. … …”Ma certamente tutto ciò non può evitare di porre interrogativi sullo sconcerto che atti giudiziari, immagini, conversazioni intercettate pongono con forza, di tanto in tanto, relativamentea Corpi di Polizia diversi. E che di nuovo si sono riproposti in questi giorni. Non vi è alcuna necessità per il Garante nazionale tornare a sottolineare che tali gravissimi casi non sono rappresentativi della cultura generale delle Forze di Polizia del nostro Paese: tutti noi siamo consapevoli del livello di democrazia e della professionalità raggiunti in particolare in anni recenti. Tuttavia, sono indicativi di una cultura, non leggibile con il paradigma autoconsolatorio delle «mele marce»; una cultura che oggi alberga, minoritaria, ma esistente, in settori di operatori di Polizia, che percepiscono la persona fermata, arrestata o comunque detenuta, come nemico da sconfiggere e non come autore di reato a cui viene inflitta quella sanzione che la legge prevede e dei cui diritti si è responsabili nel momento in cui la si detiene. Certamente ogni argomentazione volta a sottolineare la difficoltà di questo compito è valida, ma mai giustificativa e il porla nell’immediatezza di un accertamento, quasi a diminuire la gravità di quanto acclarato, rischia di assecondare quella cultura di silenzi, di compiacimento, di inadempienza del proprio obbligo di denuncia che può sconfinare nell’omertà”.
“Produrre Libertà” pare l’unica via percorribile, poichè, come si legge nel prologo del libro “Diritti e Castighi” scritto, nel 2009, da Lucia Castellano e Donatella Stasio:” Il carcere che funziona non è quello che priva della libertà. E per produrre la la definitiva libertà dei suoi abitanti deve rivoluzionare se stesso. Deve trasformarsi in un luogo in cui non c’è bisogno di esercitare il potere, già esercitato dal muro di cinta. Deve diventare un luogo in cui si organizza un servizio. Una Grande utopia, forse. Ma come dice un proverbio magrebino:《Nessuna carovana ha mai raggiunto l’utopia, però è l’utopia che fa andare le carovane》”.