Nelle realtà Napoletana, ridondante di turisti, che ha saputo in poco più di una ventina d’anni musealizzarsi facendo rete tra pubblico e privato, si assiste a percorsi che hanno come scopo quello di alimentare una comunità ampia e ad altissima densità di popolazione, con la propria storia e cultura offerta al pubblico pagante (anche per il residente).
Nel complesso museale di Santa Maria delle Anime del Purgatorio, è stata installata l’opera “Umanità senza nome, Capitolo secondo” di Michele Dolz (artista spagnolo, classe 1976), il suo progetto site-specific riprende quel dialogo connettivo che c’è tra il popolo Napoletano e i defunti, da sempre si pregano le capuzzelle, instaurando una relazione intima e personale con le reliquie dei defunti. Michele Dolz si è lanciato in una ricerca capillare, acquistando e archiviando ritratti fotografici di fine Ottocento stampandoli su cotone, piegandoli in cassettoni di legno anche essi primo Novecenteschi, come fossero biancheria antica conservata per le nuove generazioni (un piccolo tesoro di famiglia).
L’intervento verrà corredato da un catalogo con testo di Gian Maria Tosatti, presentato dal curatore Eugenio Viola alla scorsa Biennale di Venezia, che qualche anno fa si espose anche a sostegno della pubblica formazione e alta formazione artistica, in un’area dalla forte criticità in tal senso, come quella di Cagliari città metropolitana (“Michele Dolz è un artista che va in profondità, scavando nei sentimenti umani. La memoria, i meglio l’assenza della memoria, è il tema di questa suggestiva installazione”, scrive Gian Maria Tosatti).
Nel Museo sono custoditi preziosi marmi, il “Teschio alato” di Dionisio Lazzari , terrificante cesura tra la dimensione dei vivi e quella dei morti, ma anche capolavori di Massimo Stanzione, Luca Giordano e Andrea Vaccaro, il dialogo con il contemporaneo e con gli scultori contemporanei prosegue con Jane Fabre con “Il numero 85 (con le ali d’angelo)” e Aniello Scotto. Presente anche l’Alta Formazione Artistica Napoletana con “Ap-pattern-iamo”, un lavoro pensato esclusivamente per il luogo, fondato sulla personalizzazione di un’immagine identitaria. Poco distante, c’è un altro complesso monumentale (da queste parti non si contano, tutto è musealizzato), quello di San Lorenzo Maggiore, quello che Riccardo Muti ha commentato: “si legge chiaramente la storia di Napoli.
Qui è racchiuso il DNA di Napoli.”. Nel museo sono conservate le sculture nelle noci di Beniamino Ascione (Portici 1895-1977), si può fruire della sala capitolare dell’immenso Luigi Rodriguez (posso scriverlo che lo trovo tra i pittori più interessanti a cavallo tra cinquecento e seicento? Sublime nel fare convivere decorativismo e grottesco), sublime la sala Sisto V anche essa affrescata da Luigi Rodriguez (una maniera più manierista rinascimentale, il che denota un eclettismo tipico dei geni del novecento), possibile anche accedere alla Napoli sotterranea.
Ragionando su percorsi meno convenzionali, a San Biagio dei Librai, c’è la Chiesa di Santa Luciella ai librai, parliamo di Santa Lucia, di un amico che ho ritrovato e vorrei che andaste tutti a conoscere, la star dell’ossiario, il teschio con le orecchie , a cui i napoletani andavano a rivolgere le preghiere sussurrandogliele nelle orecchie, frutto di un osso temporale deformato, ma questo poco conta, simbolicamente un messaggero tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
Adesso pensate a Cagliari, e pensate quanto nel nome del mercato, con l’assenza della pubblica Alta Formazione Artistica, l’universo folk, la tradizione, la memoria, l’archeologia e l’arte contemporanea, pare vivano in universi linguistici non comunicanti tra di loro: non è deprimente? Perché da docente e d’artista, sarei dovuto restare a morire da vivo a Cagliari aspettando un’Accademia di Belle Arti e un Rinascimento che si connetta e sincronizzi col tempo presente, che so che non arriverà mai?
di Mimmo Di Caterino