Sono andato ad Abbasanta alla riunione per un terzo polo alle elezioni sarde del 2024 e… Diciamocelo francamente, il livello del dibattito è stato piuttosto basso.
Non che le aspettative fossero luminose, ma gli interventi che si sono susseguiti, raramente hanno indicato obiettivi e metodi di lavoro, risolvendosi il più delle volte in uno “sfogo” personale o in una vuota retorica fine a se stessa.
Non è certo colpa di chi è intervenuto e nemmeno degli organizzatori dell’evento che ci hanno messo buona fede e passione. Però si paga il pesante ritardo maturato in questi anni da parte di un mondo, quello che per comodità chiamiamo dell’autodeterminazione, che non ha mai curato la mania del controllo e che in fondo non ha mai realmente aperto un processo di partecipazione popolare e democratica. Di contro, nelle ultime tornate elettorali) si è sempre inseguito il miraggio del leader mutuato dai circoli che contano (i vari Antony Muroni, Andrea Murgia, Mauro Pili) che poi, puntualmente, ha abbandonato la nave quando ha constatato con mano che la strada per l’autogoverno è lunga, faticosa e non c’è da battere cassa.
Ma veniamo a noi: questo terzo polo s’ha da fare?
Difficile dirlo. A parte i tanti sgangherati flussi di coscienza senza né arte né parte, tipici comunque di un momento di discussione così nebuloso e iniziale, le posizioni in campo mi sembrano sostanzialmente due.
Da una parte c’è la posizione che potremmo definire “identitario-indipendentista”, dall’altra una prospettiva “civico-sardista”. Dico subito che io – se davvero si vuole tentare la mossa del cavallo – sono per una sintesi dialettica, ma vediamo le proposte in campo. La prima è stata espressa in apertura dallo storico portavoce di Sardigna Natzione Bustianu Cumpostu, il quale ha dato anche il “la” alla discussione, tracciando una linea politica ben precisa.
Da una parte – ha detto Cumpostu – ci sono i movimenti della dipendenza, dall’altro i soggetti della liberazione. O si sta da una parte o dall’altra, perché le capacità di assimilazione del sistema di subalternità sono tali e tanto ben rodate che non esiste alcuno spazio per alcuna soggettività non allineata, se si rimane all’interno del campo politico che di fatto fa gli interessi di frazioni politiche ed economiche esogene alla Sardegna.
Chi ha cercato in passato di fare questo tentativo ci ha lasciato politicamente le penne e così accadrà alle varie aggregazioni già intruppate nella trappola tesa dal PD o che stanno attualmente cercando di raggiungere un accordo più vantaggioso ma che alla fine si schiereranno in quel campo. Campo definito erroneamente “largo” ma che in realtà è strettissimo, perché appunto non esistono margini di manovra che non siano etero diretti e già
predeterminati.
Mi pare, salvo alcune eccezioni, che nessuno degli interventi a seguire, abbia messo in discussione questa impostazione che risulta sostanzialmente corretta. Sul chi deve stare in questo “terzo polo” (che va be, già dal nome porta un po’ di calendiana sfiga) sorgono però le prime contraddizioni.
Alcuni interventi hanno sollevato il problema. In particolare quelli del prof. Francesco Casula, di Claudia Zuncheddu e di Paolo Pisu hanno hanno posto la questione di come includere forze che, pur non essendo indipendentiste, sono state comunque all’opposizione del duopolio, negli ultimi anni e hanno contrastato sul campo le controriforme sulla sanità, gli accordi tra Regione e ministero della Difesa, lo smantellamento della scuola pubblica e il land-grabbing energetico.
A quanto ne ho capito, nel ragionamento dei tre oratori, non si tratta solo delle sigle della sinistra anticapitalista (Unione Popolare per esempio), ma anche e dei movimenti e associazioni che però non aderirebbero ad una lista schiettamente indipendentista o comunque ideologicamente marcata, a partire dal nome.
E questo si profila come problema spinoso. Vediamo di scomporlo e di capire che margini ci sono di costruire un’alternativa non identitaria e dallo stampo folk, ma basata su alcuni valori fondamentali e condivisi che dia soprattutto l’abbrivio ad una aggregazione che coinvolga energie realmente impegnate nel contrasto alle tante brutture dello stato di cose presenti.
Francesco Casula ha promosso, anche sul suo blog, la costruzione di una “lista civica, plurale, aperta, inclusiva. Che si rivolge a tutti i sardi” che hanno lottato per difendere la scuola e una sanità pubblica, contro la speculazione energetica, contro l’occupazione militare, contro l’inquinamento, per il bilinguismo e altri temi di interesse comunitario.
La vexata quaestio però è la seguente: che fare con quelle forze che si richiamano alla sinistra italiana, che da molti anni non fanno più parte dei vari carrozzoni messi in piedi dal PD, che non si dichiarano indipendentiste ma che invece sono ideologicamente contrarie? Stiamo parlando anche qui di forze residuali, spesso più nominali che altro e che in passato hanno espresso candidati che sulla Sardegna hanno messo in campo posizioni agghiaccianti, come per esempio lo scrittore Vindice Lecis, togliattiano di vecchio stampo e dalle posizioni iper centraliste.
Detto questo, non credo che in questo momento nessuno possa vantare di non avere scheletri dentro l’armadio, di rappresentare forze popolari o di guidare un percorso di costruzione nella società sarda, e nessuno possa sostenere di non rappresentare forze residuali.
Quindi apriamo la mente e ragioniamo a tutto campo. Il tempo per avviare un processo politico serio, radicato nella società e osmotico alla società sarda e alle sue comunità è ormai scaduto. Lo abbiamo avuto diverse volte in questi anni e come ho fatto notare in altri ragionamenti è stato sempre sabotato per mantenere il controllo, o semplicemente per giocare a tressette in nome della propria posizione di “partito” o personale. Questo sia nel mondo dell’autodeterminazione che nell’area della sinistra anticapitalista. Ma il passato è passato.
Ora le opzioni sono due: o si traccia questa linea alternativa al trenino del PD e assimilati e ai post- fascisti o si sta a casa.
Sono molto scettico sulla possibilità di aprire questa breccia, perché nella stesa riunione di Abbasanta sono intervenuti, in fila indiana, tutti i responsabili di questo triste stallo in cui si trova il movimento di liberazione nazionale. E ovviamente senza manco accennare ad un’autocritica, a partire da Gavino Sale che ha sostenuto di essere stato mandato via dal Consiglio Regionale perché troppo “disubbidiente”. Ma andiamo avanti. Se si fa, direi di aprire il ragionamento a chiunque non sia intruppato, aprendo le porte sui programmi a chi, spesso in solitudine, ha contrastato il nulla che avanzava nelle piazze, costruendo ponti, mantenendo reti sociali, fondando associazioni radicate nei territori e spesso pure beccandosi denunce e fango dalla stampa. Chi sta dentro il duopolio (in realtà un monopolio) che realizza, progressivamente ma inesorabilmente, il grande progetto di mettere a sacco ciò che resta della Sardegna e dei sardi, è nostro avversario e non vanno fatti sconti, al netto di amicizie, familismi, simpatie o storie condivise.
Ma chi, negli ultimi anni, ne è stato fuori è un potenziale alleato. Poche storie, questo deve essere un punto cardine, altrimenti ci diamo la zappa sui piedi. Allora tracciamola questa linea alternativa a partire da pochi valori condivisi e concentrata su 4 o 5 punti di salute pubblica.
Chiunque si riconosca nel diritto all’autodeterminazione, all’autogoverno e all’autodecisione dei sardi sia benvenuto e non chi vada alla corte dell’armata di Comandini, Zedda e Soru con il piattino in mano, sia un interlocutore.
Il che non significa porre la questione dell’indipendenza nazionale che oggi non è in agenda. Significa salvare la Sardegna dal buco nero del degrado e del furto di mare, terra, vento e perfino persone (spopolamento ed emigrazione forzata) che la sta letteralmente dissanguando.
Autodeterminazione vuol dire molto semplicemente che chiederemo a tutte e tutti: «sei a favore a che i sardi possano svolgere un referendum per la smilitarizzazione dell’isola? Sei a favore alla moratoria dei progetti di speculazione energetica e alla deroga del decreto Draghi? Sei a favore al fatto che la scuola sarda non debba sottostare alla regola idiota – decisa per Milano e Torino – che gli istituti che non raggiungono 900 alunni chiudano?».
Chi dice si e non va col nemico, se lo vuole, è dei nostri. Il resto lo vedremo. Per ora lavoriamo insieme ad una piattaforma comune. E le bandiere? O tutte o nessuno. A me in questa fase non fanno né caldo né freddo. Non c’è una bandiera in cui mi riconosca, a parte quella (o quelle) sarda/e. Fondamentalmente chi se ne frega.
L’esperienza delle lotte contro il nucleare e contro l’occupazione militare insegnano che se si innesca un movimento di popolo le bandiere non le nota nessuno.
Quindi si ad una lista che tracci il solco tra chi va con il nemico e si ad una lista di grande apertura. Ma no ad una lista ideologica o identitaria (le ideologie e le identità, come abbiamo visto, non sono affatto garanzia di coerenza e affidabilità) e no ad una intergruppi dove a decidere siano cavalieri inesistenti a rappresentanza di partiti e movimenti altrettanto inesistenti. Le due ultime scelte sarebbero suicide.
E diamolo con chiarezza: c’è tanto bisogno di discontinuità: il o la candidata e i candidati, siano scelti in assemblee pubbliche che possano discutere il valore e la storia delle sue lotte. Ci vuole gente che abbia costruito reti e non simpatici buontemponi che parlano di zona franca, danzatori delle stelle e di quanto erano belli i bei tempi andati. Che poi spesso non sono neanche simpatici e lo fanno solo per mascherare altri interessi..
Insomma non una lista identitaria e ideologica, non una collezione di personaggi da Sardegna Canta ma neanche una intergruppi che poi si risolverebbe nella solita notte dei lunghi coltelli fra “leadership” di cui non abbiamo per nulla bisogno.
Apriamo alla gente, alle persone, ai comitati, ai movimenti che realmente hanno contrastato la colonizzazione, lo sfruttamento, la deriva antidemocratica. Chiediamo loro cosa ne pensano delle modalità con cui costruire questa diga al nulla. O facciamo così o siamo spacciati.
Lo dico agli indipendentisti di lungo corso: fare un terzo polo fondato sull’autodeterminazione e alternativo alla dittatura a cui molti dei nostri ex compagni hanno ceduto, sarà già un atto di sollevazione nazionale.
Un po’ di coraggio e un po’ di tattica! Vedrete che i più sciovinisti in quel mondo manco si faranno vedere e si elimineranno da soli!
Di Cristiano Sabino