La Napoli dell’arte contemporanea offre tanto di vivo, ma come artista visivo/figurativo, posto che lo sia, preferisco dialogare con i morti, lo faccio per non consegnarmi inerme alla comunità dei vivi, sfuggendo al mio e loro desiderio di riconoscimento, brama insaziabile che determina il male e il malessere (dell’arte e dell’artista). Quello che è vivente e contemporaneo, è l’impulso creativo, ma ciò che alimenta il confronto è il linguaggio determinato dai morti, che nell’arte parlano sempre (una legge di mercato insindacabile, che pone al riparo da bolle speculative è: l’unico artista buono è un artista morto.
Lo sa bene purtroppo chi custodisce e trattiene il mio lavoro). Capirete perché in questo mio reportage Napoletano, a un Michelangelo Pistoletto, Jorit o Francesco Vezzoli qualunque, anteponga Salvatore Emblema, artista Vesuviano, passato per il Liceo Artistico e l’Accademia di Belle Arti di Napoli, che viaggiando nel linguaggio dell’arte si è confrontato senza frontiere con artisti irascibili come Rothko e Pollock, scomparso nel 2006: di Salvatore Emblema è presente un’installazione nel Reale Museo di Capodimonte, una struttura architettonica in ferro modulare con pietre vulcaniche, aperta, a ricordarci che siamo magma a cielo aperto, energia condensata viva che nel tempo, che passa da una condizione e stato di materia all’altro, auspico che il magma all’arte Cagliaritana, si muova nel tempo, strutturando una sua pubblica Alta Formazione Artistica per non isolarsi nel sud di un’isola.
Di Mimmo Di Caterino