Dici Fiorella Mannoia e pensi all’interprete per eccellenza della musica italiana, ma anche all’impegno sociale e alla lotta per i diritti delle donne.
E non poteva che andare in questa direzione anche la sua sesta partecipazione al festival di Sanremo, con il brano Mariposa, scritto insieme al marito Carlo Di Francesco (che firma anche le musiche con Federica Abbate e Mattia Cerri) e a Cheope.
“È un manifesto, che sottolinea l’orgoglio di essere donna, ma senza vittimismo. È un inno al femminile che racconta quello che siamo state, che siamo e che saremo”, racconta la cantante romana che quest’anno festeggia cifra tonda e ad aprile spegne 70 candeline, “ma a ritirarmi non ci penso proprio”. Anzi, in programma ci sarà una grande festa live con amici e colleghi.
L’emozione di salire sul palco dell’Ariston, nonostante l’esperienza, nonostante le tante partecipazioni, spiega che è sempre la stessa. “Un palco stregato, croce e delizia di noi artisti. È l’esame più importante, e hai sempre qualcosa da perdere: ogni volta è un rimettersi in gioco e la responsabilità la senti”. Soprattutto quando porti sul palco messaggi importanti, come quello contro la violenza di genere che fa capolino in Mariposa, con il verso che cita Una nessuna centomila, l’evento e la Fondazione – di cui Mannoia è presidente – per la raccolta di fondi per i centri antiviolenza.
“Il riferimento ai concerti del 4 e 5 maggio a Verona non poteva mancare: è un impegno che ormai fa parte della mia vita”.
Un impegno che si inserisce in quello che da più parti viene già definito il Sanremo delle donne. “Siamo tante e c’è una buona probabilità, a prescindere da me, che si possa avere un podio declinato al femminile. Anche se non credo che in passato ci siano stati dei pregiudizi nei confronti delle artiste al festival: numericamente eravamo meno, oggi siamo tantissime”.
A 36 anni da Quello che le donne non dicono, Mariposa può essere considerata “una sorta di evoluzione. Lì cantavo ‘ti diremo ancora un altro sì’, oggi nei miei concerti sostituisco quel sì, con forse. Perché gli uomini devono imparare che un no detto da una donna è un no. È un cambio culturale e di mentalità che dobbiamo fare tutti insieme”.