A Palazzo di città a Cagliari, vado a conoscere la saga dei Fratelli Melis, una delle tante storie dell’arte come mestiere nell’isola, isola dove l’approccio all’arte pare essere questione di famiglia, penso alle sorelle Coroneo ma anche ai Cavaro (che hanno la colpa storica, rispetto ai Carracci di non avere mai pensato all’alta formazione artistica nel nome d’interessi di bottega, e a dare il via a una storia d’arte come mestiere piuttosto che volgere la prospettiva verso il ruolo sociale, intellettuale, alchemico, esoterico e umanistico dell’artista, insomma la Scuola di Stampace non è mai stata Accademia).
Che si ragioni d’arti e mestieri, nulla toglie al merito e talento di chi, si è saputo inserire con la propria cultura e professione, all’interno di un dibattito di senso sull’arte contemporanea, mosso da situazioni come “Art and Crafts”, “Art Nouveau” e la “Bauhaus”, che nel novecento si legittima proprio con la volontà di porre al centro dell’industrializzazione la creatività e la ricerca artistica.
Hanno anime diverse i fratelli Melis, le ceramiche di Federico Melis sono fortemente identitarie, spettacolare è “L’agguato”, opera in Terracotta che ben figurerebbe nel Museo Archeologico di Cagliari, c’è un bronzetto che pare un gigante di Monti Prama, che si muove spaventato a carponi, quasi a sottintendere di sapere che qualcuno lo voglia abbattere (o scoprire?), l’opera è impressionante a maggior ragione, perché precede di dieci anni il ritrovamento della testa del gigante, sublimi e fuori dal tempo le sue ragazze desulesi, volti che mi pare d’avere sempre incrociato nei miei percorsi isolani; “La sposa antica” è il capolavoro, pezzo nella collezione dell’Università degli Studi di Cagliari, che in un’altra realtà meriterebbe la galleria dell’Accademia (che a Cagliari non è ancora mai stata), un vero virtuosismo ceramico, una cottura di un pezzo di un metro d’altezza, non a caso il Professore Giorgio Pellegrini, la paragona a un pezzo di Jeff Koons, che del marketing dell’arte come mestiere ha tracciato e definito a colpi di mass media il suo profilo artistico.
Melkiorre Melis è invece un pittore solido, la sua “Donna del Campidano” è un capolavoro di fusione di genere tra folk, ricerca d’avanguardia e accademia, notevolissima la sua “Sposa” del 1915, collezione Cavallini Sgarbi, all’avanguardia rispetto le ricerche grafico pittoriche contemporanee senza porre da parte la tradizione e la cultura identitaria d’origine, qualità che si ritrova anche ne “La Madonna di Loreto” del 1939. Le Decorazioni di Olimpia Melis sono trame e orditi che incantano per raffinatezza percettiva formale. Pino Melis nei suoi piccoli formati pare un monaco circense catapultato nel tempo della scuola del fumetto, i suoi lavori paiono essere fatti domani. Il percorso espositivo si conclude con una sezione “Quarta sponda”, che ci focalizza nell’Africa italiana al tempo dei Melis, ricordandoci cosa siamo stati storicamente e quanto forse oggi essere un paese di servitù militare statunitense a debito pubblico Europeo, forse ci tuteli rispetto la nostra memoria nazionale collettiva, Mario Mafai che artista è sempre stato prima che mestierante dell’arte, con i suoi “Tre polli” del 1937, metaforicamente espresse solidarietà al popolo Abissino, almeno mi piace pensare questo, piuttosto che sia “impietosa boutade l’indirizzo dei vinti e a maggior gloria dei vincitori” come suggerisce (più che discutibilmente) la curatela dell’esposizione.
Una guida turistica d’epoca all’Italia Meridionale e insulare e alla Libia”ci ricorda che già il Fascismo aveva in mente un’idea di sviluppo turistico (e artistico culturale) al quale oggi siamo disperatamente aggrappati per sopravvivenza, Dimenticavo a Tripoli, in epoca coloniale, il Fascismo fece nascere una scuola d’Arti e Mestieri, a Cagliari pare se ne sia dimenticato. A proposito, ma la sede distaccata dell’Accademia di Sassari a Cagliari? Non per altro, tra un poco si vota, ricordo le promesse delle passate Comunali e Regionali e ho ancora residenza, e diritto di voto, a Cagliari!
di Mimmo Di Caterino