“GAP / Gioco d’Azzardo Patologico” al TsE: dal 4 al 7 dicembre matinées per le scuole

Focus sulla vita “esplosa” di un giocatore di videopoker in “GAP/ Gioco d’Azzardo Patologico – rovinarsi è un gioco”, lo spettacolo del Teatro del Segno ideato, scritto, diretto e interpretato dall’attore e regista Stefano Ledda in scena con una serie di matinées per le scuole da lunedì 4 a giovedì 7 dicembre con due repliche giornaliere alle 9.30 e alle 11.30 al TsE in via Quintino Sella nel cuore di Is Mirrionis a Cagliari nell’ambito di Sardegna 2023 – Rovinarsi è un Gioco, il Progetto Teatrale contro la Diffusione del Gioco d’Azzardo Patologico promosso dal Teatro del Segno con il patrocinio e il sostegno della Regione Sardegna e il contributo della Fondazione di Sardegna. Una storia emblematica su una delle nuove forme di “dipendenza”, una vera e propria patologia ossessivo-compulsiva – o meglio un disturbo del controllo degli impulsi riconosciuto e descritto nel “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders” – che trasforma il sottile brivido del rischio in una droga.

GAP” evoca fin dal titolo (acronimo di “gioco d’azzardo patologico”) il dramma personale delle vittime del demone del gioco, imprigionate nel terribile meccanismo che le induce a tentare più e più volte la fortuna, con il desiderio spasmodico di vincere, ma in fondo quasi con la segreta speranza di “perdere” per avere la giustificazione del doversi “rifare” e dunque giocare, giocare e giocare ancora. La pièce offre un’intensa e amara testimonianza su come un innocuo passatempo possa distruggere un’esistenza, insinuandosi a poco a poco nei pensieri fino a diventare un’idea fissa, che cancella tutto il resto.

Il protagonista – un giovane uomo felicemente fidanzato e in procinto di sposarsi – vede infrangersi a poco a poco i suoi sogni, divorati dalla passione irresistibile per le combinazioni di segni e numeri che sanciscono la buona, o cattiva fortuna: inseguendo una vittoria irraggiungibile, finisce con il perdere amicizie e affetti, e la stima di sé. La pièce punta i riflettori sui rischi della dipendenza da gioco d’azzardo e sulle ricadute sociali del diffondersi dell’abitudine e attitudine a cercare in un “Gratta e Vinci” o nel poker online la soluzione ai problemi del quotidiano, o anche semplicemente il sottile brivido di una sfida alla sorte.

Le azioni e le scelte dei singoli infatti si riverberano sulla comunità: se il protagonista di “GAP” inizia il suo viaggio agli inferi in solitudine, dapprima minimizzando e celando la sua particolare predisposizione all’azzardo, poi contraendo dei debiti per mascherare le perdite, il suo comportamento inciderà nei rapporti con familiari e amici, oltre che con il datore di lavoro e i colleghi. Spesso per far fronte agli impegni i giocatori finiscono nelle mani degli usurai o addirittura giungono a commettere atti criminali – ad esempio indebite sottrazioni di denaro – con l’unico fine di continuare a giocare, rilanciando con una posta sempre più alta che dovrebbe coprire ammanchi e perdite, di fatto aggravando sempre più la propria posizione.

Un dramma privato che si consuma nella mente di un giocatore – con precedenti illustri, da “Il giocatore”, celebre romanzo di Fëdor Dostoevskij, a “La donna di picche” di Aleksandr Puškin oltre alle tante “variazioni sul tema” nelle pellicole cinematografiche, da “Casinò” di Martin Scorsese a “Hard Eigh” di Paul Thomas Anderson, da “The Gambler” di Karel Reisz a “Molly’s Game” di Aaron Sorkin, senza dimenticare films come “La stangata” e “Casino Royale” e la trilogia de “Il padrino” di Francis Ford Coppola – prigioniero di una ossessione, ma le cui conseguenze coinvolgono e travolgono anche le persone che lo circondano, con esiti catastrofici.

“GAP”, la pièce teatrale scritta, diretta e interpretata da Stefano Ledda, ispirata a una notizia di cronaca e frutto di un approfondito lavoro di documentazione, con interviste, testimonianze e ricerche sul campo, su sollecitazione di alcuni degli esperti consultati e dei familiari delle vittime di questa forma di dipendenza, è diventata il fulcro del progetto “Rovinarsi è un Gioco”. Il “format” proposto dal Teatro del Segno prevede oltre alla visione dello spettacolo un momento di dialogo e confronto con l’attore e regista Stefano Ledda e con psicologi, esperti ed operatori dei SERD. Un’occasione per riflettere su un tema complesso e purtroppo estremamente attuale, con il moltiplicarsi delle opportunità di gioco, non solo nelle apposite sale, nei tabacchini e nei bar, ma perfino negli uffici postali e nelle edicole e conseguentemente del diffondersi delle dipendenze, che fanno leva su una speciale inclinazione personale ma anche sulla generale condizione di vulnerabilità e incertezza legata alla perdurante crisi economica e alla difficoltà di sbarcare il lunario, aggravate dalla pandemia, tra la perdita del lavoro, i compensi spesso inadeguati e il crescente costo della vita. Il miraggio di una “facile” ricchezza rischia di trasformarsi in un incubo quando le somme spese superino di gran lunga i guadagni, in una gestione troppo spericolata e poco oculata delle risorse, ma la situazione improvvisamente si aggrava laddove la passione per il gioco assuma la forma di una vera e propria patologia, producendo una condizione di dipendenza psicologica analoga a quella determinata dalle sostanze stupefacenti, da cui è estremamente difficile liberarsi senza una guida e un supporto terapeutico (con in più il rischio di eventuali ricadute, in momenti di particolare vulnerabilità).

La comprensione del fenomeno può essere la chiave per favorire la prevenzione di queste moderne forme di dipendenza: il progetto Sardegna 2023 – Rovinarsi è un Gioco punta sull’informazione e sulla sensibilizzazione dei più giovani e sulla comunicazione peer to peer, per aumentare la consapevolezza sulle insidie nascoste dietro slogan e réclames (come il fortunato “Ti piace vincere facile?” di qualche anno fa) che propongono modelli di comportamento diseducativi, sottovalutando l’impegno nello studio e nel lavoro e un solido percorso di formazione, per giungere all’affermazione e alla realizzazione di sé. Certo, si sente ripetere, sfidare la fortuna è “solo” un gioco, ma troppa superficialità davanti a quella che ormai rappresenta una vera emergenza sociale, può rivelarsi controproducente e pericolosa, non solo per i diretti interessati ma per le loro famiglie e incide sui costi a carico della comunità.

«Qualsiasi tipo di gioco d’azzardo può portare alla dipendenza proprio come il tabacco, l’eroina e l’alcool» – sottolinea il dottor Rolando De Luca, psicologo e psicoterapeuta, responsabile del Centro Di Terapia di Campoformido (UD) per ex giocatori d’azzardo e le loro famiglie –. «Attraverso il teatro e le sue immagini, i suoi suoni, le sue parole, lo spettacolo “GAP / Gioco d’Azzardo Patologico” del Teatro del Segno mostra in modo efficace la realtà nella quale, senza neanche accorgersi del come, si può scoprire se stessi o il proprio familiare. […] Attraverso esperienze come questa si può aiutare non il “proibizionismo”, ma la comprensione che il gioco d’azzardo patologico è una malattia grave, facendo entrare questo concetto semplice dentro al nostro patrimonio culturale, ovvero favorendo, attraverso una visione critica del fenomeno, lo sviluppo di una cultura che sappia distinguere, semplicemente, il gioco dall’azzardo».

Sfidare la fortuna e il caso – e governare il destino è un’antica aspirazione, o illusione umana: la stirpe mortale, costantemente in balia del fato, ha inventato l’arte di divinare il futuro affidando a veggenti e indovini il compito di leggere i segni misteriosi, nel tentativo di controllare il caos. Se l’incertezza domina l’esistenza, in una sequenza disordinata e imprevedibile di successi e catastrofi, pure resiste il sottile brivido del rischio, il piacere di giocarsi (perfino) la vita in un tiro di dadi con la temerarietà cieca e spavalda, l’elegante noncuranza degli eroi guerrieri.

Fin dall’antichità il gioco appare come rito conviviale – a tutte le latitudini – in un’ideale prosecuzione dell’infanzia o (dis)simulazione dell’aleatorietà e precarietà dell’esistenza: già il filosofo Eraclito afferma che «Il tempo è un fanciullo che gioca, muovendo le tessere di una scacchiera». L’attrazione fatale per l’azzardo descritta ne “Il giocatore” di Dostoevskij – e già prima nell’omonima commedia di Goldoni – viene riproposta, con numerose varianti, nel cinema e nella letteratura: nella realtà, come nell’arte, la figura chiave è quella del perdente che, posseduto da un demone, finisce con il dissipare il proprio patrimonio al tavolo verde o alla roulette.

Il fascino in negativo dell’eroe sulla via della perdizione assume per la psichiatria moderna i connotati di una vera patologia – una forma di dipendenza ossessivo compulsiva con sintomi e crisi di astinenza analoghi a quelli della dipendenza da oppiacei: una malattia dagli effetti devastanti per chi ne è colpito e la sua famiglia, con gravi ricadute economiche e sociali.

S’intitola proprio “GAP” – acronimo di “gioco d’azzardo patologico” – lo spettacolo del Teatro del Segno, scritto, diretto e interpretato dall’attore e regista Stefano Ledda (con la consulenza di esperti, come lo psicoterapeuta Rolando De Luca) che dal 2005 mette in guardia sulle insidie nascoste dietro le lusinghe del “vincere facile”, la tentazione di “risolversi la vita” e far fronte alle difficoltà del quotidiano attraverso una cospicua – ma assai “improbabile” – vincita. Il sottotitolo dello spettacolo, “rovinarsi è un gioco” dà anche il nome al progetto di informazione e sensibilizzazione a cura del Teatro del Segno, che unisce la forza e il pathos del linguaggio teatrale a momenti di approfondimento, riflessione e confronto con medici, esperti e operatori dei SerD e si rivolge soprattutto a ragazzi e adolescenti, la fascia più “a rischio”, i potenziali nuovi clienti del sistema, ma anche i più recettivi e capaci di attivare una comunicazione tra pari (la cosiddetta peer education).

Exit mobile version