“Ero timido, ho fatto il giornalista per perdere la timidezza e sono capitato anche io nell’epoca dove tutto sembrava avere due anime, tre anime, una forza interiore.
Io so di avere partecipato alla stagione più bella che nell’ultimo mezzo secolo ha avuto la società italiana”.
Lo diceva Gianni Minà, il grande giornalista scomparso a marzo, in una delle sue ultime interviste, concessa nel 2019 all’Istituto Luce. Ora il suo straordinario percorso professionale, che l’ha portato a incontrare, raccontare e spesso diventare amico di personaggi come Fidel Castro, Papa Francesco, Diego Armando Maradona e Pietro Mennea, Mohamed Alì e il Dalai Lama, Martin Scorsese e Sergio Leone, passando per i Beatles, Garcia Marquez, Massimo Troisi, Marco Pantani e il subcomandante Marcos, è protagonista in “Gianni Minà – Una vita da giornalista” il documentario firmato dalla moglie del giornalista, Loredana Macchietti, nelle sale il 26, 27 e 28 giugno. Prodotto da Format con Rai Cinema, con il contributo del Ministero della Cultura e con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte – Piemonte DocFilm Fund e distribuito da Zenit Distribution, il film non fiction aveva debuttato l’anno scorso al Bif&st dove l’autrice aveva ricevuto per il marito anche il premio alla carriera. ” L’idea di questo lavoro “è nata insieme, da una festa alla Casa del Cinema di Roma nel 2008 con tutti i suoi amici per i cinquant’anni della sua professione – ha spiegato Loredana Macchietti, a lungo collaboratrice del giornalista.
Mi ha chiesto di scrivere un copione sulla sua vita professionale, montato con lo stile di Minà. La cosa più difficile è stata scegliere tra ore e ore di teche Rai e di nostro materiale che stava in magazzino e non era stato mai visto. Ho scelto le cose che mi divertivano, è un po’ un dietro le quinte, un po’ la storia del giornalismo e della televisione dagli Sessanta ai giorni nostri, perché io non volevo raccontare solo lui, ma l’evoluzione o l’involuzione del giornalismo”. Si passa per 60 anni di carriera, attraverso il racconto fatto in prima persona dal protagonista e con il contributo di colleghi come Gennaro Carotenuto e Giuseppe De Marzo, il magistrato Nino di Matteo e Alessandra Riccio (scomparsa a maggio) e soprattutto con quello degli amici di sempre, come Renzo Arbore e Edoardo Vianello.
Ma sono tante le voci che testimoniano lo straordinario rapporto che Minà instaurava con coloro che raccontava, da Pietro Mennea a Maradona, da Sepulveda a Tommie Smith, il velocista Usa medaglia d’oro ai Giochi Olimpici del ’68, che insieme al compagno di squadra John Carlos, diede vita a uno dei più clamorosi gesti di protesta della storia delle Olimpiadi. Il viaggio del documentario nella vita di Minà parte dalla sua città Torino, dov’era nato il 17 maggio 1938, la sua Torino, dove il giornalista inizia nel 1959, a lavorare per Tutto Sport (del quale sarà decenni dopo anche direttore, dal 1996 al 1998) e dove nasce il grande amore per la squadra Granata, passione di tutta la famiglia Minà.
Si prosegue con il suo arrivo a Roma, dove il giornalista si trasferisce quando comincia a lavorare per la Rai a cui rimane sempre legato. In Rai crea alcuni dei programmi che hanno fatto la storia della televisione italiana, come Blitz e Alta Classe e racconta una serie ininterrotta di grandi eventi sportivi, come i Mondiali di calcio e le Olimpiadi, oltre a innumerevoli incontri di pugilato, tra cui quello tra George Foreman e Mohamed Alì, che lo accolse addirittura nello spogliatoio.