Grazia Deledda in viaggio verso Stoccolma

A ogni curva il paesaggio muta e non solo quello geografico

Tra il riaffiorare di ricordi, immagini oniriche, emozioni, in un ideale viaggio tra passato, presente e futuro, scorre come attraverso il finestrino del treno diretto a Stoccolma la vita di una scrittrice che dal cuore della Sardegna ha conquistato la ribalta internazionale.

A tavola, davanti a un piatto fumante di macarrones de busa “Scoprimmo …da un dispaccio con timbro di Svezia, che davvero io, Grazia Deledda, avevo vinto il premio Nobel. La prima scrittrice sarda, la prima italiana”. E’ un passaggio da “Grazia Deledda. Il cuore scalzo” della scrittrice sassarese Silvia Sanna, dal 26 gennaio in libreria per le edizioni Morellini, con tanto di dedica a Massimo Calabrò “amore della maestra” e a Michela Murgia “maestra dell’anima”. In un omaggio alla grande scrittrice nuorese l’autrice si concentra sugli episodi legati al prestigioso riconoscimento, l’arrivo “dopo tre giorni di mare e terra” nella città sul Baltico, accolti dai “colori delle fioriture invernali di Svezia”, la cerimonia, la prima intervista.

In quel dialogo con il giornalista siciliano Tano Balestri, risuona la voce di Grazia Deledda, attaverso citazioni e rimandi, note autobiografiche, battute scherzose e piacevoli aneddoti: Silvia Sanna capovolge la prospettiva per assegnare all’autrice di “Canne al vento” il ruolo di io narrante. Una sorta di diario privato tra atmosfere familiari e obblighi mondani, cui l’artista tende a sottrarsi, e la lunga conversazione con il cronista, che tocca temi e momenti cruciali dell’esistenza della scrittrice. Prendono forma trame fantastiche attinte dai suoi romanzi, ricordi familiari, “una giovinezza in un ambiente dove restavano in piedi i pregiudizi di una cultura patriarcale”, mette in luce Silvia Sanna. Ancora la passione per la scrittura emerge in tutta la sua intensità assieme alla granitica determinazione e la chiarezza di come desiderava disegnare il suo destino.

A fare da sfondo, i paesaggi della Barbagia coi silenzi e “con le sue montagne innevate”, “i confini di pascolo dove la collina divide le anime dei pastori da quelle dei contadini”.

Poi Nuoro, la città che “amo soprattutto ….come anche i paesi attorno, Orune, Bitti, Fonni, Lollove, Galtellì, Dorgali, Mamoiada, Lula, Oliena, Gavoi, Ovodda, pezzi di cuore che fremono”. Il profumo del cedro del Libano delle giornate romane, nella capitale dove si era trasferita, “da sempre la meta agognata”. Una vita di difficoltà, sfide, ricompense, tra critici non benevoli e grandi ammiratori del suo talento, il forte legame con la sua terra, la sua ironia e senso dell’umorismo, il suo essere una donna evoluta, “l’urgenza di dare nuova vita alle storie”, di “farle danzare con la fantasia e il colore della mia voce” e la gioia nel constatare che “le mie parole avevano trovato un’eco nei cuori dei lettori e delle lettrici”. Poi la svolta, verso la fine dell’intervista si compie come una sorta di transfert. La sua biografia e quella del giornalista si intrecciano, e nel dolore, per un istante, si giunge quasi a una comunione d’anime.

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