Diciamo la verità: chi si aspettava un album del genere dai Rolling Stones nel 2023?
“Hackney Diamonds”, uscito il 20 ottobre, è davvero un colpo di coda di Migger Jagger, Keith Richards e Ronnie Wood, la dimostrazione che nell’era in cui tutto il mercato ruota attorno ai singoli inzeppati di featuring c’è ancora spazio per una raccolta di brani che è una lezione di rock’n’roll e riporta la band ai fasti di diversi decenni fa.
Gli Stones hanno impiegato 18 anni a dare alle stampe un seguito al tutt’altro che indimenticabile “A Bigger Bang”: nel 2016 avevano pubblicato “Blue & Lonesome” che è una raccolta di cover di blues.
Ma stavolta, complice Jimmy Fallon, hanno creato un hype incredibile attorno a questo clamoroso ritorno, con interviste piene di sense of humour e di aneddoti che nessuno oggi può eguagliare.
Chi pensava che raggiunti gli 80 anni – Mick li ha già compiuti, Keith lo farà il 18 dicembre, Ronnie Wood ne ha festeggiati 76 in giugno – la band si sarebbe “accontentata” di fare tour ultramilionari, è stato spiazzato.
E viene quasi da sorridere pensando che, soprattutto dopo la dolorosissima scomparsa dell’amatissimo Charlie Watts, qualcuno si possa essere aspettato dagli Stones qualche riflessione sul tempo passato, sulla mortalità, sulla necessità di fare bilanci come hanno fatto loro illustri colleghi e coetanei come Paul Simon, Paul McCartney o Paul Simon: niente di tutto questo, Jagger e Richards tirano dritto come se niente fosse, ben felici di essersi ritrovati in studio e, soprattutto, di aver ritrovato ispirazione e voglia di suonare.
In “Hackney Diamonds” c’è tutto il meglio di ciò che ha fatto grandi i Rolling Stones, con più sapienza e meno furia. Dominano le chitarre di Keith Richards e Ronnie Wood, con Steve Jordan, il batterista vecchio sodale di Richards negli Xpensive Winos indicato da Charlie Watts come il suo successore ideale, il sound acquista in potenza ma perde quella magica andatura sghemba e piena di swing così caratteristica del compianto Charlie: non per niente l’irriproducibile groove degli Stones torna intatto proprio nei due brani in cui alla batteria c’è Watts, negli ultimi brani registrati prima di morire, “Mess It Up” e il potente “Live By Sword” dove ci sono Elton John al pianoforte e, simbolicamente, Bill Wyman, il bassista originale.
“Hackney Diamonds” pullula di Guest Star ma con la snobberia tipica della band fanno tutti i session man: Elton John suona il piano in due brani quasi fosse il sostituto di Ian Stewart; Paul McCartney il bassista entusiasta nel super rock “Bite My Head Off”, Stevie Wonder il pianista soul-blues in “Sweet Sounds of Heaven” dove Lady Gaga si produce in vocalizzi mozzafiato esattamente come ha fatto Merry Clayton nell’incisione di “Gimme Shelter” e soprattutto Lisa Fisher che l’ha cantata per trent’anni dal vivo.
Tutto sommato “Angry”, il singolo che ha anticipato l’uscita dell’album, rappresenta bene il sound complessivo di “Hackney Diamonds” dove ci sono bei ritornelli come “Whole Wide World”, blues con chitarre acustiche e slide alla “Sweet Virginia”, “Dreamy Skies”, il momento del Keith cantante di ballad acustica, “Tell Me Straight”.
L’album si chiude nel modo più simbolico immaginabile: Mick e Keith, chitarra acustica (una Gibson degli anni ’30 simile a quella del leggendario Robert Johnson) e armonica, cantano “Rollin Stone”, ribattezzato “Rolling Stone Blues”, il brano di Muddy Waters da cui i due sessantuno anni fa scelsero il nome della band che ha scritto pagine decisive della leggenda chiamata rock’n’roll.
Sembrerebbe la conclusione ideale per l’ultimo album della carriera, davvero la perfetta chiusura del cerchio
Ma, dopo un album come “Hackney Diamonds”, c’è ancora in giro qualcuno disposto a credere che per i Rolling Stones esista davvero l’ultima volta?