Il Comune di Milano nega il suolo pubblico per un’opera raffigurante Assange

Prima è stata negata (per la seconda volta) la cittadinanza onoraria a Julian Assange, poi non è stato concesso il suolo pubblico per un’installazione temporanea che ritrae il fondatore di WikiLeaks. È accaduto a Milano dove, al Consiglio comunale del 12 marzo scorso, tra gli ordini del giorno, figurava il conferimento della cittadinanza onoraria al giornalista australiano in arresto a Londra dal 2019 e in attesa dell’estradizione negli Stati Uniti. Una proposta che era stata bocciata con 12 voti contrari, 7 favorevoli e 6 astenuti. Tutti i consiglieri di centrodestra, ad eccezione di uno, erano usciti dall’aula prima del voto. Mentre in 12, della coalizione di centro sinistra che appoggia il sindaco Beppe Sala, avevano votato contro.

Ma martedì, il Comune meneghino ha fatto di più. “Dopo due mesi di contatti negli uffici comunali e la protocollazione a pagamento di quanto necessario, il Comune di Milano ha negato la concessione del suolo pubblico per l’opera di Davide Dormino, Anything to Say? a Monument to Courage, senza offrire motivazioni“, scrivono il Comitato italiano per la liberazione di Julian Assange in un post Facebook. L’installazione raffigura quattro sedie, tre occupate dalle statue di Julian Assange, Edward Snowden e Chelsea Mannig e una vuota per chiunque voglia salirci sopra, prendendo posizione. Un’opera che simboleggia il coraggio di chi lotta per difendere la libertà di espressione e informazione nel mondo e che sarebbe dovuta essere posizionata in Piazza del Cannone a Parco Sempione, dal 20 al 23 maggio, accompagnando una raccolta firme a sostegno dell’attivista australiano. E il tutto era definito e ben organizzato con tanto di locandina.

“Le statue arriveranno da Ginevra e abbiamo già pagato il loro trasporto e l’assicurazione e ora gli uffici comunali non ci danno nessuna motivazione sul perché non possano essere messe sul suolo di Milano”, dice al fattoquotidiano.it Christian Celona, membro del comitato italiano per la liberazione di Assange. “Abbiamo iniziato le pratiche a marzo e hanno aspettato di portarci sotto la data mettendoci in difficoltà. In altre città come Roma o Napoli non abbiamo incontrato questi intralci – continua -. Ci hanno preso in giro”. Non solo. Nelle pratiche di protocollazione, Christian dice di essere stato indirizzato, tra i tanti uffici, anche a quello Verde del Comune meneghino ma quando ha ricevuto il numero, questo “era di una persona andata in pensione da cinque anni”. “La nostra è un’iniziativa politica, sapevano (e sanno) quali erano i nostri simboli. Faremo ugualmente la manifestazione il 20 maggio prossimo (giorno della sentenza per decidere sull’estradizione di Assange)”. E concludendo: “Se ci verrà data la possibilità faremo ricorso al Tar contro il Comune”.

Tratto dal Fatto Quotidiano

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