Se sulla loro più recente produzione musicale la critica non è stata certo unanime, gli show dei Muse difficilmente hanno deluso.
E anche ieri, con una scenografia degna di una grande opera, lingue di fuoco e stelle filanti sparate sul pubblico e soprattutto la forte carica emotiva degli interpreti dal palco, la band britannica non ha certo deluso i 40mila dello stadio Olimpico di Roma nella tappa che segnava il loro ritorno in Italia dopo il tour del 2019 e le due date dello scorso anno a Firenze e Milano.
Proprio nel capoluogo lombardo, a San Siro, il gruppo si esibirà di nuovo il 22 luglio.
Un Olimpico letteralmente infuocato, non solo per il caldo che ha costretto a posticipare l’avvio del concerto all’ora più tarda possibile, ma anche per lo scenario estremo, apocalittico e invaso delle fiamme, come quelle che davano fuoco al grande logo sullo sfondo del palco con le iniziali dell’ultimo disco “Will of the people”, sul quale ha ruotato tutta l’esibizione.
Il frontman e chitarrista Matthew Bellamy, il bassista Chris Wolstenholme e il batterista Dominic Howard hanno suonato quasi tutte le tracce della loro ultima fatica e il tema del popolo che si solleva per trovare il suo riscatto contro i potenti che l’opprimono è stato il leitmotiv di tutto lo show.
Pronti via, il mondo distopico dei Muse appare subito sul maxischermo con il video della canzone che dà il titolo all’ultimo album. Rivoluzionari mascherati distruggono le statue del trio, che si presenta sul palco con maschere metalliche.
Poco più tardi allo loro spalle compare l’enorme volto di un personaggio con la stessa maschera che poi, via via, prende le sembianze di serial killer cinematografici, da Freddy Krueger alla bambola Chucky. Guerre, tiranni senza scrupoli, assassini, il mondo è un posto difficile per il trio che si è formato nel 1992 a Teignmouth, nel Davon, e da allora ha segnato con nove album all’attivo e 30 milioni di dischi venduti la scena rock mondiale, ma non solo.