Impatto in visita a Capodimonte, in una installazione di Francesco Vezzoli, artista considerato “internazionale” (con il termine internazionale, in un globo interconnesso in ogni suo frattale, che pare svuotato di senso, dal momento che non c’è angolo di pianeta che non sia frammento di Babilonia): l’installazione consiste nel trattare depositi e opere del Museo, come fossero ready made, che direziona come stessero dialogando tra loro con lo sguardo, dialogo che l’artista orchestra oltre lo spazio, il tempo e lo stile, alla fine di questo corridoio di sguardi, un autoritratto dell’artista come Apollo che uccide il satiro nel nome della bellezza, e che rivolge lo sguardo allo spettatore.
Questa è arte? Non mi lascio divorare da questo, e non penso bastino sale con colonnati e critica a sostegno, a dispensare elisir di lunga vita artistica a Francesco Vezzoli, che si confronta con il passato, uccidendo il satiro che c’è in me, come tutti i falsi profeti. L’arte contemporanea che nel nome del mercato, si confronta con il passato lo silenzia, photos e banalità in certi artisti sono molto vicini, al punto da non sedurre con il pathos e non irritare con la banalità.
Nel nome di una sua idea del bello, Francesco Vezzoli, uccide il satiro per interesse personale, ma certamente non lavora per l’umanità, i suoi progetti non sono processuali, e non determinano arte e possibile interazione con lo spettatore, non c’è niente d’inaspettato, e quando tutto è certo, non si può essere saldamente creativi, il suo utilizzo del simbolo è insulso, primitivo e primordiale, eppure basterebbe la sua visibilità a fare ragionare su quanto sia fondamentale l’Alta Formazione Artistica dal punto di vista formativo, sociale e relazionale, m’avrebbe sorpreso di più se si fosse ritratto, come Maestro di Scultura, della mai nata (a oggi) pubblica Accademia di Belle Arti di Cagliari.
Di Mimmo Di Caterino