Il rap a Sant’Elia? Napoletano!

L'Opinione di Mimmo Di Caterino

Diciamoci la verità, identità e lingua non sono niente se parliamo d’arte, a maggior ragione in una realtà come quella isolana che si vanta d’essere lingua minoritarie, sovente squalificando anche altre culture linguistiche italiche che hanno stessa dignità idiomatica con tanto di storia reale scritta nella memoria, spesso nel Cagliaritano ho dovuto fare presente come la lingua napoletana sia attestata dall’Unesco come insieme dei dialetti alto meridionali: Campania, in Basilicata, in gran parte dell’Abruzzo, nel Molise, nella Puglia escluso il Salento, nella Calabria settentrionale, nelle Marche meridionali e nel sud del Lazio.

Stimate intorno a dodici milioni le persone che parlano in Napoletano, la seconda lingua più parlata in Italia dopo l’Italiano, mettiamoci poi la forte assonanza e comunanza con la lingua Siciliana (Napoli e Palermo sono state le due capitali del Regno delle due Sicilie), si parla di lingua napoletana in relazione ai lunghi secoli del regno di Napoli.

Chiaramente l’ UNESCO non ha preso in considerazione i campanilismi locali. Difficile parlare di lingua minoritaria nel caso del Napoletano, anche se per l’Unesco parrebbe a rischio estinzione, anche perché il Napoletano utilizza la sua lingua e la sua cultura per colonizzare chi lo colonizza e integrare nella sua cultura chi vorrebbe disintegrarlo, insomma sa cosa sia un dolcissimo abbraccio mortale.

Dove voglio arrivare? Al rapper di Sant’Elia Jim De Banlieu e i suoi numeri sul tubo, non frega nulla di tanti discorsi di possibili conflitti culturali di matrice calcistica, per uno spareggio per restare in serie A, lui è di padre Napoletano di Secondigliano, di Mamma Cagliaritana, vive a Santa Elia e rappa in lingua Napoletana da Sant’Elia e il sostegno del quartiere e della strada, con buona pace dei tanti dogmatismi dei rapper isolani storici che battendosi la mano sul petto si proclamano veri sardi nel nome di una lingua che rappresentano confinata, sul tema scrive Jim sul suon profilo Facebook: “Facendo musica in dialetto napoletano a Cagliari sapevo già dall’inizio che avrei creato “scalpore” ma non mi sono mai messo nessun tipo di problema, grazie a mia madre parlo e sono sardo e grazie a mio padre sono napoletano e parlo napoletano, la lingua che utilizzo nella mia musica principalmente perché mi piace come suona e come riesco ad esprimermi. Amo entrambe le mie città allo stesso modo e Una rivalità calcistica non mi impedirà mai di essere me stesso.

Indosso la maglia del Cagliari, come indosso la maglia del Napoli con orgoglio e fierezza ma non per il calcio, il tifo, gli ultras, ma perché mi stanno bene addosso, perchè sento che mi appartengono entrambe allo stesso modo, per il resto non mi ammazzerò mai col prossimo per uno sport da milionari, molti di questi leoni da tastiera che mettono bocca ogni volta che esce un brano mio avrebbero mai avuto il mio stesso coraggio? Non penso. Ma io si ho il coraggio di essere ciò che sono un “figlio del vesuvio” e un “pecoraro sardo”. Voi odiatevi che io non ho tempo, devo essere.”

Che bella l’arte, in un attimo accende i riflettori sull’idiozia dell’altro e l’illumina, si muove dove vuole, i confini non sono quelli di un’isola o di una penisola, sono nella mente di chi sa di essere conquistato e con arroganza non sapendo conquistare vorrebbe imporsi sugli altri attraverso la squalifica.

di Mimmo Di Caterino

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