Esistono realtà come Napoli, che hanno consapevolezza della loro ricchezza artistica e culturale, e nel nome di questo, sanno essere attrattive e costituire un reale polo d’alfabetizzazione artistica metropolitana, al punto che turisti e residenti si confondono, attraversano le stesse strade, visitano e studiano gli stessi luoghi (che non basta una vita per comprendere e possedere, vista la ricchezza culturale diffusa), anche con gli stessi abiti (se non hai la maglietta d’ordinanza di Diego Armando Maradona “Buitoni”, con tanto di numero 10, non ti fondi e confondi nella fiumana), e allora basta recarsi al Museo del Duomo, per ritrovarsi zippati secoli di storia, da Lello da Orvieto com la “Santa Maria del Principio” (1322) al Lanfranco che sfonda la cupola e ci mostra il Paradiso (1643), da Ribera che dipinge in tre D su rame (nel 1646) al Domenichino con la “decollazione di San Gennaro e dei compagni alla solfatara”, per non parlare della sacrestia di Luca Giordano o del San Gennaro Benedicente di Francesco Solimena del 1702.
La basilica di Santa Restituta (nel Duomo) è la più antica Cattedrale della Napoli paleocristiana, edificata nel trecento, al suo interno una “Madonna del principio” di Lello da Orvieto (scuola Cavallini) e un crocifisso ligneo trecentesco, interagiscono con Luca Giordano, Francesco De Mura e Santolo Cirillo; il Battistero di San Giovanni in Fonte annesso, è il più antico dell’intero Occidente, a riprova che da queste parte il dialogo linguistico dell’arte nel tempo, nel contempo e oltre il tempo, non si è mai interrotto.
Il tesoro di San Gennaro non si ferma a Theodore Amedeus Hoffman con “Il miracolo della liquefazione di San Gennaro del 1799” o alla Mitra del Santo, arriva anche a fare confrontare sul tema artisti contemporanei come Jan Fabre e Lello Esposito.
Intelligentissima l’operazione di Jan Fabre, il suo pezzo dedicato a Eusebia, la donna che preservò il sangue di San Gennaro, conservandolo e consegnandolo, donato permanentemente al Museo, ne utilizza il flusso per dare visibilità alla sua mostra presso lo studio Trisorio della gallerista Laura Trisorio, lo stesso dicasi per “Il numero 85 (con ali d’angelo)”, gli studi si trovano nello studio Trisorio, il lavoro è invece collocato in modalità permanente (dedicato alla moglie) nel complesso museale delle anime del purgatorio, dove l’arte contemporanea dialoga con la memoria e storia popolare (tra sacro e pagano) e la dimensione locale incontra quella internazionale, nel Museo è delle anime del purgatorio il lavoro di Fabre incrocia quello di Aniello Scotto come quello dello spagnolo Michele Dolz, in altre parole la fede diventa uno strumento promozionale d’arte contemporanea per attribuirle valore simbolico, presso lo Studio Trisorio è possibile vedere altre due sculture in corallo, una dedicata alla stessa gallerista Laura e l’altra alla moglie, in mostra anche diciotto disegni studio sul tema, operazione intelligente che legittima il Santo come i fedeli, il sacro come il profano e rende Napoli una piazza internazionale anche nei suoi valori cristiani, che trovano forma visiva plastica in un artista internazionalmente riconosciuto come Jan Fabre (con Sant’Efisio a Cagliari un’operazione del genere sarebbe stata inconcepibile, scarso il valore dei collezionisti e inesistenti gli spazi e le fondazioni in grado di nutrirne il gusto, chiaramente anche per causa dell’assenza alfabetizzante dell’Alta Formazione Artistica nel sud dell’isola).
Basta allungarsi un poco e compare subito un altro Museo, come il “Museo Civico Gaetano Filangieri, dove si trovano dei gioielli come la “Testa di Giovanni Battista” di Ribera, un “Ritratto dell’abate Ferdinando Galiani” di Giuseppe Sanmartino del 1787 e tante altre opere che da sole meriterebbero un approfondimento semiotico monografico, come il “San Giovannino” di Battistello Caracciolo, la “Sant’Agata” d’Andrea Vaccaro, la “Testa di fanciullo” di Luca della Robbia (1455), “Giuseppe Palizzi” dipinto dal fratello Filippo, un piccolo “Trionfo di Galatea” di Luca Giordano, insomma una panoramica del meglio della pittura Europea tra seicento e ottocento, tutto questo a dimensione d’orde di turisti bramosi di attingere a un poco di quell’arte e cultura, con cui i residenti hanno la fortuna di convivere da sempre, e nel nome della quale hanno costruito un indotto turistico unico in Europa, fondato solo ed esclusivamente sulla propria storia e identità in un paese dallo straordinario debito pubblico, nel nome del quale si è massacrato il Sud Italia (l’ex Regno delle due Sicilie).
Faccciamo un poco di conti con la storia: chi ha tentato (senza riuscirci) a depredare e impoverire il Regno delle due Sicilie?
Il Regno Sardo Piemontese nel nome del Regno d’Italia, ci ha portato tutti in Europa, ignorando quanto l’Alta Formazione Artistica, quando sa essere patrimonio comune, nessuno può portarla via al territorio, sono gli artisti fuori dal tempo, che col tempo formano gli artisti in spazi preposti, la sola loro comunicazione determina ricchezza e alfabetizzazione dinamica permanente, stadio e museo diventano un territorio da vivere a cielo aperto in festa permanente condivisa con tutti, nel nome del “Vesuvio erutta, tutta Napoli è distrutta, Vesuvio erutta…”, Cagliari che non ha mai avuto un modello d’alfabetizzazione pubblico d’Alta Formazione Artistica (eccezion fatta per il “Foiso Fois”, quando capirà che uscirà dal suo isolamento, soltanto consentendo ai suoi artisti d’essere ciò che sanno, riconoscendoli socialmente e istituzionalmente?
di Mimmo Di Caterino