Tutto si può dire di Napoli, ma non che non offra il meglio del sistema di mercato dell’arte contemporanea, e che non lo traduca in cartolina turistica culturale globale di settore, anche se questo chiaramente non ha nulla a che vedere con studio e ricerca in termini di profondità di senso (ma capitalizza e distribuisce risorse).
Questo non toglie uno scenario, con vecchi e giovani artisti, che coprendosi di ridicolo, ottengono riconoscimenti in maniera indegna, offendendosi se il loro nome non è citato da questo o quel curatore, e s’intristiscono se qualcuno si muove strategicamente meglio di loro, implacabili dinanzi a critiche rivolte nei loro confronti se qualcuno modifica di una virgola le loro miserevoli ricerche, spaventati e disgustati, non producono niente di simbolico che vada oltre il visibile, niente d’intimo, individuale e vissuto: sputano nel nome del progetto curatoriale su tutto ciò che è oltre loro, maledicendolo, l’interesse è solo verso ciò che si è visto, osservato e commentato dalla moltitudine media integrata.
Detto ciò al Madre di Napoli, c’è l’interessante ricerca cinetico plastica, a tratti sciamanico magica dell’artista Nippoamericana Kazuko Miyamoto, e anche un interessante confronto generazionale tra Ninì Sgambati e Paolo Puddu, anche se mi chiedo dal punto di vista progettuale e curatoriale, ha senso configurare un confronto generazionale, il linguaggio dell’arte in uno spazio come il Madre, non andrebbe letto fuori dal tempo e oltre il tempo? A proposito Ninì Sgambati ha fatto della didattica e della dialettica tra generazioni, una fondamenta dell’Alta Formazione Artistica Napoletana, pienamente dentro lo spirito del tempo della sua generazione (classe 1945), al Madre di Napoli il suo lavoro è fruibile come quello di Kazuko Miyamoto in un’ottica di confronto tra cultura di ricerca locale e artisti di risonanza globale, a Cagliari sappiamo bene che tutto questo ancora non c’è, ma tutti ci si auspica che prima o poi nascerà.
di Mimmo Di Caterino