Il 5 aprile di 30 anni fa Kurt Cobain si sparava un colpo di fucile alla testa.
Anche l’uomo simbolo della scena di Seattle entrava nel “Club 27”, come Jimi Hendrix, Jim Morrison, Janis Joplin, Amy Winehouse.
Ancora oggi sull’ultima autentica rivoluzione del rock aleggia un alone spettrale, fatto da una lunga, troppo lunga, serie di morti precoci: quella di Andrew Wood, il carismatico leader dei Mother Love Bone, unanimemente riconosciuto come il fondatore del movimento Grunge, il compagno di stanza di Chris Cornell e il suo amico del cuore, stroncato a 24 anni da una devastante dipendenza dall’eroina. E poi quelle di Layne Staley, il cantante degli Alice in Chains, di Scott Weiland, voce degli Stone Temple Pilots e poi dei Velvet Revolver, Mike Starr, bassista degli Alice in Chains, e dello stesso Chris Cornell.
Kurt Cobain rimane comunque l’icona più potente e, come spesso accade per i leader, anche quella che sintetizza un percorso collettivo. Kurt Cobain è, ed è stato, un’icona suo malgrado. Con i Nirvana era riuscito a sintetizzare quei fermenti musicali che si concentravano a Seattle rendendoli però universali. “Nevermind”, uno degli album rock più importanti della storia, nel 1991 ha clamorosamente portato la musica indipendente in vetta alle classifiche, dando voce alle inquietudini di quella che allora veniva chiamata la Generazione X, come è stata raccontata nel libro di Douglas Coupland.
E’ proprio sulla scia di questo clamoroso successo che il Grunge ha conquistato il mondo della musica (e non solo). E’ proprio questo ruolo di star, di immagine da t-shirt, di personaggio da copertina che probabilmente ha fatto esplodere un disagio che affondava le sue radici in un’infanzia tormentata e che ha trovato alimento in una scena musicale che, nonostante i suoi connotati drammatici, ha portato una città, Seattle, a trasformarsi dalla noiosissima città del Nord, conosciuta solo per il quartier generale della Boeing e per la tomba di Jimi Hendrix, anche grazie all’arrivo di Microsoft e Starbucks, in una delle metropoli più vitali e accoglienti del mondo.
La rabbia e il dolore post punk dei Nirvana sono diventati la voce di una generazione ma evidentemente Cobain non voleva reggere quel ruolo. Né tantomeno poteva gradire l’attenzione mediatico-gossippara suscitata dal suo matrimonio con Courtney Love, ambiziosissima leader delle Hole.