La caduta di Assad e l’ascesa dei ribelli jihadisti: una Siria frammentata e il rischio di una nuova instabilità

Dopo tredici anni di un conflitto devastante, la Siria si ritrova in una fase di transizione drammatica: la caduta del regime di Bashar al-Assad, rovesciato da un’offensiva coordinata dei ribelli jihadisti, apre scenari complessi e incerti. La fine del dominio della famiglia Assad segna una svolta storica, ma il futuro del Paese appare più frammentato che mai, con implicazioni profonde per la popolazione civile, le minoranze e gli attori regionali.

La caduta del regime e la frammentazione del potere

L’avanzata dei ribelli jihadisti, guidati da Hayat Tahrir al-Sham (HTS), è stata sorprendentemente rapida. Lanciata da Idlib a fine novembre 2024, ha portato alla conquista delle principali città siriane, inclusa Damasco, in appena due settimane. Questo successo è stato possibile grazie alla debolezza dell’apparato militare governativo, esausto dopo anni di conflitto, e al disimpegno progressivo di alleati chiave come Russia e Iran, entrambi concentrati su altre crisi regionali.

Tuttavia, la vittoria di HTS non è unitaria. La Siria è oggi divisa tra vari gruppi armati: HTS domina il nord-ovest (dalla regione di Idlib in meno di dieci giorni il gruppo jhiadista è entrato nella capitale Damasco senza trovare oppisizione); le Forze Democratiche Siriane (SDF), a guida curda, mantengono il controllo del nord-est; mentre altre sacche di resistenza sono presenti nel sud. A complicare il quadro, lo Stato Islamico (ISIS) sembra riemergere, sfruttando il vuoto di potere nelle regioni desertiche.

Chi sono i ribelli jihadisti?

Hayat Tahrir al-Sham è il principale attore emerso dalla caduta di Assad. Originariamente affiliato ad al-Qaeda, HTS ha tentato negli ultimi anni di riposizionarsi come un movimento jihadista locale, mirato a governare con un’amministrazione centralizzata. Tuttavia, la sua leadership rimane radicale, e il gruppo continua a perseguire obiettivi estremisti, imponendo una rigida interpretazione della sharia nei territori sotto il suo controllo.

Oltre a HTS, altre fazioni jihadiste come Ahrar al-Sham e Jaysh al-Islam operano in aree più circoscritte, spesso con rivalità interne che minacciano di degenerare in nuovi conflitti. Questi gruppi condividono ideologie simili, ma divergono nei metodi e nell’orientamento geopolitico, complicando ulteriormente la stabilità del paese.

Le minoranze a rischio: i curdi e la comunità cristiana

La caduta di Assad espone le minoranze siriane a nuove minacce. I curdi, rappresentati principalmente dalle SDF e dal loro braccio politico, il Partito dell’Unione Democratica (PYD), hanno mantenuto un governo autonomo nel nord-est, ma si trovano ora sotto pressione crescente. La Turchia, che considera le SDF affiliate al PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), intensifica le operazioni militari lungo il confine siriano, minacciando di smantellare l’autonomia curda.

La comunità cristiana, una delle più antiche della regione, è anch’essa a rischio. Durante il conflitto, i cristiani hanno spesso trovato protezione sotto il regime di Assad o nei territori curdi (anche se non sempre la convivenza tra le due comunità è stata pacifica). Ora, con l’ascesa di HTS e altri gruppi jihadisti, la loro sicurezza è fortemente minacciata, spingendo molti a lasciare il paese.

Il ruolo degli attori regionali: Turchia, Iran, Israele e Russia

La caduta di Assad ha scatenato un rimescolamento delle carte nella geopolitica regionale. La Turchia, che ha sostenuto alcune fazioni ribelli, mira ora a consolidare il controllo sulle zone di confine, utilizzando la caduta del regime per ridimensionare l’autonomia curda. Allo stesso tempo, Ankara deve affrontare il rischio che HTS diventi un attore incontrollabile vicino ai suoi confini.

L’Iran, storico alleato di Assad, perde una pedina chiave nel suo progetto di espansione regionale. Con il regime caduto, Teheran rischia di vedere svanire anni di investimenti militari ed economici, mentre l’emergere di gruppi sunniti radicali alimenta le tensioni settarie.

Israele, che ha osservato con attenzione il conflitto siriano per anni, si preoccupa della possibilità che l’instabilità favorisca gruppi ostili jhiadisti di matrice sunnista dopo il passo indietro di Hezbollah e delle milizie filo iraniane. Le incursioni aeree israeliane in Siria, volte a prevenire il trasferimento di armi avanzate, potrebbero intensificarsi in risposta alla frammentazione del potere.

Infine, la caduta di Bashar al-Assad rappresenta un colpo significativo agli interessi strategici della Russia in Medio Oriente. Assad è stato un alleato cruciale per Mosca, garantendo alla Russia una presenza stabile nella regione, in particolare attraverso l’accesso alla base navale di Tartus, unica struttura russa nel Mediterraneo. La perdita di questo alleato comporta una diminuzione dell’influenza geopolitica russa in un’area strategica dominata da rivalità globali.

Il sostegno economico e militare fornito ad Assad ha rappresentato un investimento rilevante per Mosca: il collasso del governo siriano erode, di fatto, i benefici di tale sforzo. La caduta del Leone di Damasco, secondo molti analisti, indebolisce anche la narrativa del Cremlino come attore globale capace di garantire stabilità ai suoi alleati. Sono in molti a ritenere, infatti, che la sconfitta in Siria, possa riflettersi negativamente sulla politica interna russa, minando la fiducia nella leadership di Putin come stratega globale.

Tratto da Spondasud.it

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