Nei giorni scorsi si è nuovamente infiammata la discussione sulle reali cause della tragedia del DC9 che il 27 giugno 1980 si inabissò con 81 persone tra passeggeri e membri dell’equipaggio, nel tratto di mare compreso tra le isole di Ponza e di Ustica.
43 anni di indagini, con inchieste parallele sui depistaggi che si sono susseguiti attorno a questa tragedia e alcuni strani decessi di militari coinvolti a vario titolo nelle indagini stesse non sono stati sufficienti per stabilire una verità oggettiva e condivisa sulle cause della strage di Ustica che resta uno dei misteri tutt’ora irrisolti della storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi.
In particolare, l’ipotesi della bomba a bordo che era stata esclusa nelle varie perizie effettuate durante i decenni di indagini e di attività delle Commissioni Parlamentari è stata riproposta nelle dichiarazioni del Sen.Carlo Giovanardi che ha preso spunto da alcuni atti dell’inchiesta recentemente desecretati dal governo Draghi.
Non vogliamo entrare nei dettagli della discussione sulle cause della strage, riteniamo che chi come Il Sen. Giovanardi mette in discussione le “verità ufficiali” abbia certamente motivazioni nobili che lo spingono a farlo e meriti comunque di essere ascoltato, riteniamo invece che certe considerazioni politiche sulla provenienza certa o molto probabile della bomba che avrebbe provocato la caduta del DC9 possano essere confutate, in quanto basate su una ricostruzione storica incompleta del contesto in cui si sono svolte.
Si è parlato di una “vendetta palestinese come conseguenza dell’arresto, avvenuto nel novembre 1979, di Abu Saleh, esponente del Fronte di Liberazione della Palestina, per traffico di armi sul territorio italiano, per questo reato Saleh venne condannato a 7 anni, poi commutati in 5 anni con l’accusa di traffico d’armi, venne invece assolto dall’accusa di introduzione clandestina di armi da guerra sul territorio italiano.
La pista palestinese per Ustica si basa su minacce che sarebbero giunte dopo l’arresto di Saleh da parte del FPLP per la violazione degli accordi del cosiddetto “LODO MORO”, un insieme di intese non scritte strette tra i vertici dei movimenti di resistenza palestinese ed il governo italiano guidato da Aldo Moro, per preservare l’Italia da attentati, in cambio di una sorta di libera circolazione su territorio italiano di esponenti dei vari movimenti palestinesi che avrebbero usato l’Italia come base per organizzare le loro azioni contro lo stato di Israele ed i suoi alleati.
Questa ricostruzione storica, al di là dell’accertamento delle vicende processuali, risulta molto debole, per le seguenti ragioni:
-Saleh era stato condannato a 7 anni poi commutati in 5 ed assolto dall’accusa più grave, le carte processuali hanno assicurato che il dialogo tra i servizi italiani ed il gruppo di Saleh non venne mai meno e portò anche alla scarcerazione dello stesso Saleh il 14 agosto 1981, in quel momento il primo ministro era Giovanni Spadolini, probabilmente il politico della Prima Repubblica più contiguo politicamente ad Israele. Se il governo italiano avesse avuto il minimo dubbio sulla eventuale responsabilità del FPLP le cose sarebbero andate ben diversamente.
-Il movimento di Saleh, così come la stessa Al Fatah negli anni 70 compivano attentati basati su rivendicazioni palesi o comunque compiuti da membri riconosciuti, la pista della strage per vendetta contro il governo italiano per una lieve condanna di un militante non ha nessun fondamento storico e politico, al contrario la posizione dei governi italiani negli anni 70 ed il cosiddetto Lodo Moro avevano pesantemente contrariato sia Washington che Tel Aviv.
La stessa Eleonora Moro, moglie del leader della Dc assassinato nel 1978, ha più volte raccontato di come il marito gli avesse confidato le minacce di Kissinger, deus ex machina della diplomazia americana, evidentemente un Italia che svolgeva il suo naturale ruolo politico di mediatore nella questione mediorientale e di attore protagonista nel Mediterraneo aveva suscitato le ostilità dei cosiddetti “alleati”, l’ultima cosa che avrebbero voluto fare i leader palestinesi era rompere i rapporti politici e diplomatici con l’Italia.
La ricerca della verità è doverosa ed è vergognoso che dopo 43 anni non esista ancora una ricostruzione accertata dei fatti ma vanno respinte semplificazioni e approssimazioni che rischiano di gettare fango su un intero popolo sottoposto ad un’occupazione militare sempre più terribile e distruttiva, in spregio alla legalità internazionale che viene violata ogni giorno in terra di Palestina.
Come dimostrano anche le drammatiche notizie che giungono da Jenin, dove migliaia di palestinesi vengono scacciati anche dalle misere abitazioni di un campo profughi, privati di tutto ogni giorno di più.
Del Circolo “Terra dei Padri” – Movimento Eurasiatista