«Le denunce del governo sono palesi intimidazioni, vere e proprie epurazioni che mirano a emarginare intellettuali che esercitano una critica politica, anche dura». Ad affermarlo è Donatella Di Cesare, filosofa e ordinaria di filosofia teoretica a La Sapienza di Roma, durante una conferenza stampa indetta lunedì 8 aprile 2024 da Anpi e Articolo 21 nella sede della Fnsi insieme con altri tre intellettuali denunciati da esponenti del governo, Tomaso Montanari, Davide Conti e Luciano Canfora.
«Il filo che lega queste quattro denunce – continua – è quello di una strategia politica scelta da questo governo che tenta di spegnere le voci scomode. Si tocca l’apice di una strategia inaugurata da mesi che punta a criminalizzare ogni contestazione e divergenza. È inconcepibile trascinare in tribunale persone per questioni politico culturali sulle quali dovrebbe aprirsi, invece, un dibattito democratico». Dello stesso parere Montanari, Rettore dell’università per stranieri di Siena, querelato anche lui dal ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. «Stiamo assistendo a un ribaltamento del costituzionalismo moderno – spiega – basato sulla tutela di chi non ha forza su chi ha forza. Dobbiamo svegliarci prima che sia troppo tardi».
«Mi duole che persone attive nella loro professione di insegnanti vengano trascinate in tribunale – sono le parole di Luciano Canfora, querelato da Giorgia Meloni -. Voler tappare loro la bocca è ancora più grave perché si tratta di professionisti in costante contatto con i giovani». Lo storico Davide Conti – querelato dalla sottosegretaria alla Difesa, Isabella Rauti – ha invece sottolineato due questioni: «quella del fascismo e dell’antifascismo, ancora centrale nello spazio pubblico» e «quella della legittimità del conflitto nello spazio pubblico».
A chiudere gli interventi, introdotti e moderati da Vincenzo Vita, è il presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo. «C’è un’evidente diseguaglianza tra il potere del singolo intellettuale o giornalista e il potere del governo – le sue parole -. al governo quando sentono la parola cultura mettono mano al tribunale».