La Grande Prosa: “Pojana e i suoi fratelli” di e con Andrea Pennacchi, il 17 e 18 aprile al Teatro Massimo di Cagliari

Viaggio nel cuore del Nord Est d’Italia, tra ironia e disincanto, con “Pojana e i suoi fratelli”, originale e coinvolgente spettacolo scritto, diretto e interpretato da Andrea Pennacchi, attore di solida formazione teatrale, noto al grande pubblico grazie alla ribalta televisiva di “Propaganda Live” oltre alla partecipazione a fiction e serie tv come “Il paradiso delle signore”, “Grand Hotel”, “Don Matteo” e “A un passo dal Cielo”, accanto a Paola Cortellesi in “Petra” su Sky e nel cast di “Tutto chiede salvezza” su Netflix, protagonista sulla colonna sonora disegnata da Giorgio Gobbo (chitarra) e Gianluca Segato (tastiera e percussioni), in tournée nell’Isola sotto le insegne del CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna. Un affresco del Belpaese alle soglie del Terzo Millennio con la pièce che racconta le storie di personaggi stravaganti e in qualche modo emblematici come Franco Ford detto “Pojana”, creato per una rilettura de “Le allegre comari di Windsor” di William Shakespeare ambientata in Veneto, Edo il security, Tonon il derattizzatore, Alvise il nero e altri ancora, simboli di una moderna evoluzione (o involuzione) antropologica, in cartellone mercoledì 17 e giovedì 18 aprile alle 20.30 al Teatro Massimo di Cagliari sotto le insegne di “Pezzi Unici”, la rassegna “trasversa” del CeDAC, poi venerdì 19 aprile alle 21 al Teatro Civico “Gavì Ballero” di Alghero e sabato 20 aprile alle 21 all’AMA / Auditorium Multidisciplinare di Arzachena nell’ambito della Stagione 2023-2024 de La Grande Prosa firmata CeDAC Sardegna con la direzione artistica di Valeria Ciabattoni, con il patrocinio e il sostegno del MiC / Ministero della Cultura, della Regione Sardegna e dei Comuni aderenti al Circuito e con il contributo della Fondazione di Sardegna.

Andrea Pennacchi si confronta con il moderno mito della Padania, dando voce a creature irrequiete e un po’ inquietanti, cresciute nelle città sorte nelle regioni attraversate dal fiume Po e dai suoi affluenti, specchio di una visione del mondo estremamente concreta e pratica i cui punti di riferimento, in positivo o in negativo, delimitano l’orizzonte del “Pojana”, un ricco padroncino trasportato dalle atmosfere elisabettiane di una commedia alle contraddizioni del presente, un uomo con le sue manie e le sue fissazioni, in particolare per «le armi, i schei e le tasse, i neri, il nero». “Pojana e i suoi fratelli” – una produzione del Teatro Boxer, in collaborazione con People, con distribuzione a cura di Terry Chegia – si inoltra nel profondo Nord Est, per indagare le origini e gli effetti di una mutazione avvenuta alla fine del Novecento, quando i veneti si sono trasformati «da provinciali buoni, gran lavoratori, un po’ mona, che per miseria migravano a Roma a fare le servette o i carabinieri (cliché di molti film in bianco e nero), a avidi padroncini, così, di colpo, con l’ignoranza a fare da denominatore comune agli stereotipi». Una strana e paradossale favola nera che capovolge il destino, facendo di un popolo mite e volenteroso, soggiogato da secoli di fame e arretratezza, avvezzo ai ritmi lenti e alla quiete della vita di provincia, lontano dalle raffinatezze delle metropoli e con un certo carattere di rusticità contadina, ancorato a saldi principi morali (e religiosi) il simbolo delle pericolose derive popoliste. In una performance travolgente in cui si fondono gli accenti rudi, urticanti e provocatori di Angelo Beolco detto il Ruzante e le eleganti e umanissime maschere goldoniane mutuate dalla Commedia dell’Arte, l’attore padovano rievoca sulla scena le figure, o meglio i figuri di un microcosmo che assume la valenza di un “esperimento” sociale: «è significativo e terribile che i veneti siano diventati, oggi, i cattivi: evasori, razzisti, ottusi. Di colpo». In quei volti deformati dalla rabbia e dall’odio, in quegli spiriti deboli intrisi di xenofobia e e razzismo, si riconoscono i peggiori istinti e le astruse rivendicazioni, le istanze e la cupa ribellione del vero “ventre molle” del Belpaese, quella miscela esplosiva di qualunquismo e arrivismo, di insensibilità e egoismo, in cui trovano terreno fertile e facile accoglienza le tendenze autoritarie e antidemocratiche in nome di una presunta sicurezza, per non intralciare gli affari e favorire i profitti.

Nella moderna civiltà consumistica, il miraggio della ricchezza e il desiderio del successo “a tutti i costi”, con l’ostentazione degli opportuni status symbol, prevalgono sul sentimento di solidarietà e fratellanza: la straordinaria crescita economica del Nord Est d’Italia, parzialmente fondata sull’evasione fiscale e sui contratti “in nero” come forma di ribellione verso uno Stato troppo esoso anche a fronte della corruzione della classe politica, e gli effetti perversi della crisi che hanno favorito l’infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto produttivo rappresentano il contesto in cui nascono le vicende narrate da Andrea Pennacchi. Storie vere o (in parte) inventate, come la leggendaria epopea del Tanko, singolare arma segreta di un gruppo di separatisti alla conquista di Venezia accanto alla ricostruzione della “storia sanguinaria” del Veneto con il susseguirsi di invasioni straniere in un territorio in passato abitato da «pantegane coi denti a sciabola che tendevano agguati feroci alle nutrie dorate che morivano gocciolando sangue sulle ninfee». Le ricette venefiche di Tonon, le imprese di Edo, addetto al servizio d’ordine nelle discoteche e durante le tumultuose feste nelle ville ma soprattutto i ragionamenti e le invettive del “Pojana”, rivisitazione di un personaggio shakespeariano, con le sue convinzioni, i suoi pregiudizi, le sue paure – «un demone, piccolo, non privo di saggezza, che usa la verità per i suoi fini e trova divertenti cose che non lo sono, e che è dentro ognuno di noi» – in cui l’artista, capace di spaziare dai classici al teatro contemporaneo, dalla soap opera al cinema d’autore, diretto da registi come Andrea Segre, Carlo Mazzacurati e Silvio Soldini, dà prova del suo talento istrionico e della sua vis comica, tra satira e nonsense, lasciando la parola alle sue creature, libere di dare sfogo alle loro passioni, anche quelle più oscure e temerarie, al di là del bene e del male.

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