Le esercitazioni Nato fanno bene alla salute, portano lavoro e difendono la democrazia

L'Opinione di Cristiano Sabino

Quando sei bambino e chiedi ai tuoi genitori di leggerti una favola, non vedi l’ora di chiudere gli occhi e immedesimarti con i buoni. E i buoni alla fine vincono sempre. In questa favola però non ci sarà nessun vincitore, ma intanto i buoni – o per lo meno quelli che nella favola vengono descritti come tali – devono pur testare le loro armi, altrimenti poi come fanno a fare la guerra ai cattivi?

E in questa favola non ci sono neanche Re, maghi, elfi e non ci sono terre di mezzo, castelli e foreste incantante, anche se le foreste un tempo c’erano, prima del grande disboscamento voluto dai Savoia per produrre traversine da portare nel nord Italia e fare cassa col carbone vegetale. C’è però il male e i cattivi di volta in volta sono quelli che non stanno alle regole di Washington e dei loro aiutanti. E fra gli aiutanti ci siamo pure noi, o meglio, i vari governi che si susseguono alla guida dello Stato italiano e della Regione Autonoma di Sardegna che, a quanto pare, litigano sempre su un sacco di cose, ma quando si tratta di utilizzare la Sardegna come poligono sperimentale per armamenti di ogni tipo, si prendono a braccetto e stappano lo spumante.

Come in ogni favola che si rispetti, anche questa ha la sua voce narrante e quest’ultima ci racconta che gli eserciti che in questi giorni si stanno addestrando nelle tre operazioni Mare Aperto, Noble Jump e Joint Stars sono i buoni, anzi sono gli “alleati”. Vi ricorda qualcosa? L’utilizzo di questo aggettivo per descrivere gli stati aderenti al patto NATO e i loro amici non può sembrare neutro.

Scrive Sardinia Post: «sino al 14 maggio, la brigata e le forze assegnate dagli alleati di Belgio, Cecoslovacchia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia e Slovenia condurranno simultaneamente tre importanti esercitazioni. Complessivamente, 5.000 soldati delle nazioni alleate parteciperanno a queste esercitazioni.»  (Sardinia Post, Esercitazione Nato a Capo Teulada, parteciperanno cinquemila soldati, 8 maggio 2023). Storicamente gli «alleati» sono quelli che hanno sconfitto Hitler e si capisce che riesumare questa categoria – scomodata ad hoc per comunicare che si prepara appunto una nuova alleanza contro un nuovo Hitler e contro un nuovo asse del male – risponde ad un preciso disegno politico.

Il fatto è che mai come ora la Sardegna è diventata un immenso campo di addestramento per la guerra in gestazione e se anni fa si costruivano improbabili villaggi mediorientali per simulare “task forces” nella cosiddetta guerra globale al terrorismo, oggi si parla apertamente di testare armi, tecnologie e strategie nella prospettiva di preparare la guerra contro Russia e Cina e, in attesa dell’escalation, per inviarle nel teatro di guerra ucraino dove la NATO si misura per procura contro il nemico russo.

La Sardegna diventa quindi sempre di più un anello di fondamentale importanza nella filiera della provocazione, della destabilizzazione e della preparazione della guerra in gestazione.

Ma è possibile occupare un’isola, utilizzarla a scopi bellici sempre più spinti, impoverirla e avvelenarla sistematicamente ed esporre le sue comunità a numerosi rischi senza manipolare le persone? È chiaro che la condizione di colonia militare della Sardegna deve essere giustificata agli occhi di un’opinione pubblica sonnecchiante, ma comunque storicamente reattiva rispetto a questo tema. L’Esercito Italiano e la NATO sanno bene infatti che in Sardegna è sempre stato attivo un movimento pacifista, per l’autodeterminazione e contrario all’occupazione militare, che a Capo Frasca nel settembre 2014, dopo l’incendio causato dall’aeronautica tedesco in seguito ad esercitazioni militari, organizzò una manifestazione di straordinarie proporzioni e che allora spontaneamente centinaia di persone tagliarono le reti ed invasero pacificamente la base. Da quel momento si sono susseguiti, intrecciandosi con i processi per disastro ambientale relativi alle attività inquinanti svoltesi all’interno dei poligoni, decine di manifestazioni, incontri, eventi culturali che hanno dimostrato un vivo e duraturo interesse di una fetta crescente di sardi sul tema della presenza invasiva ed infestante delle servitù militari nel nostro territorio.

Su questo sfondo appariranno maggiormente chiare le esternazioni di esponenti dell’esercito sulle «straordinarie opportunità» grazie alla «positiva ricaduta economica sul territorio che la presenza di migliaia di persone assicurerà con la fornitura di pasti, servizi di lavanderia, lavori edilizi per migliorare la ricettività» e sulle magnifiche sorte e progressive che porteranno «il personale forestiero, dopo aver visitato i nostri territori» a «ritornare sull’Isola per motivi privati e di piacere»  (Unione Sarda, Esercitazioni Nato in Sardegna, i generali: «Straordinarie opportunità per turismo e lavanderie», 3 febbraio 2023).

Le voci narranti sono quelle dell’ammiraglio di divisione Fabio Agostini e del generale di brigata Stefano Scanu e non si tratta certo di motti di spirito, ma di tasselli di una precisa narrazione egemonica che cerca di manipolare l’opinione pubblica sarda sulla bontà e sulle ricadute positive della guerra portata a casa nostra. Vi imponiamo il 70% delle servitù militari, impoveriamo i vostri territori, vi convinciamo che l’unica prospettiva di sopravvivenza per i vostri figli è l’arruolamento, avveleniamo le vostre terre e le vostre acque, signoreggiamo i vostri cieli, vi esponiamo a innumerevoli pericoli e a patologie di ogni tipo, però vi diamo due gettoni per le vostre lavanderie e – se fate i buoni – d’estate torniamo nel vostro B&B e chi si ribella lo indaghiamo per terrorismo (Il Manifesto, Siamo un gruppo di Madri dei 45 giovani sotto processo per l’operazione Lince (YouTG, Operazione Lince, rinvio a giudizio per 43 antimilitaristi: “Sotto accusa il movimento”, 14 settembre 2021)

A fare da pendant stanno anche le veline diramate dai comandi militari in vista delle esercitazioni di queste settimane. Da un lato si avverte con nonchalance che si sta preparando la terza guerra mondiale («l’esercitazione prevede una  risposta militare interforze  in aderenza all’articolo 5 del trattato del Nord-Atlantico, che stabilisce il principio di difesa collettiva in caso di aggressione a uno dei Paesi alleati», dall’altra si fa una bella operazione di green whashing rassicurando che i bravi soldati della NATO raccoglieranno le cicche da terra: «una particolare attenzione, sottolinea la Difesa, sarà poi posta alla tutela ambientale: sia durante l’esercitazione sia al termine specifiche squadre della Difesa provvederanno ad una bonifica approfondita, anche sui fondali, e ad una serie di operazioni di pulizia e ripristino» (Ansa.it, In Sardegna le prove di difesa nazionale, 4mila i militari, 28 aprile 2023). Ma che gentili!

Che la tendenza alla militarizzazione della società, al riarmo generalizzato e alla preparazione dell’opinione pubblica ad un clima di guerra e – nello specifico – all’utilizzo sempre più intensivo della Sardegna come colonia bellica dell’Italia e del blocco NATO, sia un fatto acclarato lo dimostra anche la decisione presa, lo scorso 4 marzo, dalla Commissione Europea per «aiutare le imprese della difesa Ue ad aumentare la produzione di munizioni e missili, anzitutto per sostenere l’Ucraina. E questo con fondi Ue e degli Stati membri incluso il Pnrr». (Avvenire, Altri 2 miliardi ai fabbricanti d’armi. «Fondi del Pnrr per produrre munizioni». Vi ricordate il Pnrr?, 4 maggio 2023). Parte dei fondi del Pnrr trasformati in armi. Esatto, proprio quel Pnrr che doveva salvarci dalle conseguenze del Covid-19!

La linea la esplicita il commissario al Mercato Interno Thierry Breton e non lascia margini all’immaginazione: «vogliamo sostenere direttamente, con i fondi dell’Ue, il potenziamento della nostra industria della difesa per l’Ucraina e per la nostra stessa sicurezza». E pazienza se dobbiamo tagliare su scuola, sanità, servizi, investimenti infrastrutturali e welfare! E pazienza se questo significa far galoppare l’inflazione e il caro-vita e ridurre in miseria milioni di famiglie!

La Sardegna da questo punto di vista rappresenta la cartina da tornasole dell’occidente: in una terra dove 700 mila persone sono sotto la soglia della povertà (praticamente la metà della popolazione)  cresce a dismisura la presenza dell’esercito sui territori e nella vita civile.

Questa tendenza ha un nome preciso: «complesso militare-industriale». Spiegando il concetto su Jacobin, Andria Pili scrive che si tratta della «coalizione di interessi formatasi nella commistione tra classe politica, imprese belliche e Forze Armate contro gli interessi generali. Il concetto ha i suoi antecedenti nell’economia istituzionalista di Thorstein Veblen (1904)  e nella sociologia politica di Charles Wright Mills (1956), per poi essere sistemato, dopo gli anni Sessanta, da economisti come il keynesiano John Kenneth Galbraith. Tutti questi autori videro la funzione del settore militare a sostegno delle élite, restringendo il controllo democratico per soddisfare gli interessi di una coalizione a scapito dello sviluppo economico; sul piano culturale, hanno visto nel militarismo uno strumento per disciplinare la società, irreggimentare la scienza e l’educazione, controllare il conflitto sociale, rendere accettabili restrizioni nei diritti civili e nella democrazia». (Jacobin, Questione Sarda e complesso militare-industriale, 15 aprile 2021)

Insomma più avanza la militarizzazione della società sarda, più la politica si piega agli interessi e alle narrazioni dell’Esercito Italiano e della NATO e più si fiacca la resistenza dell’opinione pubblica, non solo rispetto alla disponibilità verso la guerra, ma anche e soprattutto rispetto all’accettazione di una terribile condizione di miseria e di un progressivo assottigliarsi dei fondamentali diritti democratici, a partire da uno spazio informativo e mediatico sempre più irreggimentato.

Di fronte a questo servirebbe una politica sarda capace di alzare finalmente la bandiera del dissenso e fa specie che sia proprio una giunta a trazione sardista ad assistere silente – quando non proprio complice – allo scempio che viene fatto della nostra terra e della nostra dignità di sardi e cittadini amanti della pace.

Scriveva la direzione del Psd’Az nel settembre 2014, invitando i sardi a partecipare alla manifestazione di Capo Frasca:

«Per il Psd’az, il sistema coloniale delle servitù militari sarde deve essere interamente smantellato senza alcun distinguo, ed a prescindere da inconsistenti e strumentali differenziazioni».

Ai lettori tutte le considerazioni del caso e un consiglio: non è ancora troppo tardi per partecipare alle manifestazioni di chi si oppone a guerra, carovita e occupazione militare!

 

Di Cristiano Sabino

 

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