Bandiere palestinesi e bandiere sarde, alle spalle le rovine del castello aragonese e intorno una città immersa in un caldo sabato pomeriggio di inizio ottobre. È questo lo sfondo della manifestazione per la liberazione di Khaled El Qaisi, il cittadino italo-palestinese arrestato dalle autorità israeliane lo scorso 31 agosto, dopo aver trascorso una vacanza con la sua famiglia a Betlemme, nei Territori palestinesi occupati senza nessuna accusa formale.
A lanciare l’evento l’associazione Sa Domo de Totus e il Movimento Associativo degli studenti: «la Sardegna sa da che parte stare nella lotta per la giustizia in Palestina e la manifestazione di Sassari lo dimostra» ha dichiarato, in diretta telefonica, Maria Elena Delia della Fondazione Vittorio Arrigoni.
Presenti i tanti militanti e le tante associazioni che hanno aderito all’evento, da Samed Ismail dell’Associazione Amicizia Sardegna Palestina a Ponti non muri, da Gambia Society ai partiti della sinistra e dell’autodeterminazione come Rifondazione Comunista, Rossomori, Sardegna Possibile e Progetto per Nuoro, ma anche il sindacato con i Cobas Sardegna, da sempre sensibili alla causa palestinese.
Le notizie della ripresa del conflitto, il bilancio provvisorio che conta già centinaia di morti e feriti e le dichiarazioni del premier israeliano Benjamin Netanyahu sullo stato di “guerra” e sulla mobilitazione di migliaia di riservisti stridono con la calma che circonda le decine di persone accorse in piazza Castello.
Eppure i legami tra la Sardegna e l’aspro conflitto che insanguina da decenni la Palestina sono molto più fitti di quanto potrebbe sembrare ad uno sguardo superficiale: «intere zone della Sardegna sono sacrificate all’addestramento delle truppe Nato, nonché delle stesse truppe israeliane – ha dichiarato Fabrizio Cossu, presidente di Sa Domo – e questo rende complice lo Stato italiano di tutte le sofferenze patite dai palestinesi.
Ma il popolo sardo non vuole più avere alcuna parte nell’oppressione di altri popoli e non siamo più disposti ad accettare che sulla nostra terra si addestrino le forze armate israeliane».
Sotto accusa però non sono soltanto i poligoni militari e le collaborazioni militari tra Repubblica italiana e Israele, ma anche rapporti apparentemente lontani da scopi bellici: «la nostra terra è nella piena disponibilità di eserciti di tutto il mondo, tra cui anche quello israeliano» – incalza Emanuele Santona del movimento studentesco – «e risulta intollerabile che l’Università di Cagliari intrattenga rapporti strettissimi con la Technion israeliana, dove la ricerca civile è strettamente intrecciata con quella militare. La cultura della pace deve diventare una priorità del mondo scolastico ed accademico sardo!».
A dire la sua anche la storica associazione Ponti non muri: «se siamo qui è per rimarcare la nostra vicinanza ad un popolo che ha sofferto fin troppo» – ha ricordato Lavinia Rosa, esponente dell’associazione – «perché è un fatto che troppo spesso i più fondamentali diritti umani non siano rispettati nei territori occupati» .