Molti mi chiedono il perché del mio ritorno a Napoli. Molti artisti e colleghi docenti mi chiedono: perché sei tornato, stavi così bene a Cagliari? Lo dicono col polso dei profili social, che magari raccontassero la nostra realtà interiore, essoterismo, nulla d’esoterico in una terra che ha l’unica città metropolitana e capoluogo di Regione in Occidente (presumo al mondo), ancora priva di pubblica Alta Formazione Artistica nel 2024. Per me quella nell’isola è stata una residenza d’amore e passione per un Eden naturale che, ho scoperto non essere paradiso, o forse un paradiso dove mi hanno raggiunto i miei demoni.
Un fatto poco discutibile è che una terra, dove vivono con connotazioni identitarie, divinità protostoriche prive di nomi certi e storia, non so quanto sia benevolo, per chi nasce, cresce e muore in loro nome, senza armonizzarsi con l’altrove, non ho mai visto la cultura nuragica come costante resistenziale, per come è stata cancellata senza riconnettersi, ferma nel tempo, mi pare costante servitù storica, ma non ho lasciato il sud dell’isola perché oppresso dalla servitù di quelli che si spacciano come artisti nel sud dell’isola priva di pubblica alta formazione artistica. Mi sono mosso come una macchina, proprio come quelle intelligenze artificiali che, vorremmo gestire, ho affrontato una variante algoritmica computazionale che, mi ha portato al quinto trasferimento di casa studio in cinque anni.
Uscito di casa della mia ex moglie due estati fa, sono approdato nella mia casa studio a Cagliari, poi chiesto il trasferimento a Napoli, sono arrivato nella casa della mamma del mio figlio mai nato, poi mi sono ritrovato a casa con i miei e con lo studio condiviso con mio padre, reciso nuovamente il cordone ombelicale, per la terza estate di seguito mi muovo con tutti i miei bagagli, nella mia casa studio, presa con aiuto dei miei e quanto guadagnato dalla vendita della casa studio di Via San Saturnino. Vivo ora in Via Cesare Rosaroll, altezza Porta Capuana e fossato dei coccodrilli, attesto l’ingresso nel centro storico della Napoli rinascimentale.
Quotidianamente trasporto dallo studio condiviso con mio padre a casa nuova, quadri di fresca lavorazione, con i simboli che affronto quotidianamente che mi hanno riportato alla mia origine, mentre mi muovo armato di linguaggio simbolico dell’arte mi parlano energie che, entrano ed escono da corpi, con forme e contenuti diversi, il vecchio (“guagliò a rò vajé?”), il filippino che vende kebab (“bello quadro, a quanto lo vendi?”), lo scugnizzo che gioca a pallone a torso nudo per strada con gli amici (si ferma e mi dice “bello”), la ragazza in vespa con il ragazzo, la famiglia Ucraina, le macchine che rallentano il traffico, la donna di colore con il pit bull, tutti a sostenermi, no, non proprio tutti, qualcuno m’insulta (“A rò jà jé? Stù scemo e merda!”), ringrazio comunque, sento chi sente il bello, o almeno la mia idea del bello, che sia stata questa energia a riportarmi qui? Nei libri di storia Napoletani, si legge che il Regno di Sardegna, nel nome della propria miseria economica, con orditi e inganni, conquisto il Regno di Napoli, è questa l’autonomia culturale e l’indipendenza? Depredare l’altro? Parlare sardo nel nome della propria indipendenza storica e purezza di specie genetica e linguistica? Posso dirlo che ho saluto i demoni dell’isola che ho amato rappresentandomeli alla fine, stanco e sconfitto, come Spagnoli, con i quali un conto aperto storico da queste parti, c’è dai tempi di Masaniello, almeno ho fatto in tempo a non vedere l’entusiasmo per il ritorno di quel Sindaco, per il quale l’assenza d’alta Formazione Artistica Cagliaritana, non era un fatto politico, come si chiama? Ma è Cagliaritano o Spagnolo?
di Mimmo Di Caterino