Antonio Milanese ( per chi ha collaborato con lui negli anni novanta “Comandante Polvere”) è uno storico docente del Liceo Filippo Palizzi e un artista di quelli che non avrebbero mai esposto da Lucio Amelio, non ha mai amato l’idea dell’arte sconnessa dalle istanze popolari: conosce il fenomeno magico, da sempre lo promuove per evitarne l’estinzione, ha sempre avuto presente che il fenomeno magico, a Napoli più che altrove, agevolerà la mutazione in corso, di una città turistica che attrae per la forza spirituale viva dei suoi residenti.
Nel 2000, nel Laboratorio Occupato s.k.a. che gestivamo come “Mario Pesce a Fore” al terzo piano, mi consegnò un feticcio per guidare il corteo contro il G8, ha sempre spiritualizzato la politica e forse politicizzato la spiritualità, ma sempre per pungolare la mediocrità, come quando al Palizzi ha progettato “il muro del sapere collettivo”, ponendo dialetticamente a confronto Gennaro Cilento con street e public Artist. Un artista eretico, come tutti coloro che vivono per elevare e monitorare lo sviluppo delle coscienze e delle conoscenze, in quest’ottica gli ho donato un piccolo elaborato realizzato nel caos della quotidianità di laboratorio, in una periferia che diventa centro didattico dell’arte per tutta l’area metropolitana, della quale mina dogmi e certezze rinnovandone il centro: preso il lavoro l’ha collocato in un altarino installazione di un suo feticcio magico, dicendomi “il volto umano è l’aspetto esteriore della psiche, l’ho collocato con un’occhio alato che gli volteggia sopra, che sta per l’acutezza della vista e la velocità delle ali, l’occhio che tutto vede.
Ciascuno di noi possiede un intuito attivo e sensibile, percepisce relazioni, cause e sostanze, nel mio caso nella pratica dello sciamanesimo artistico, determina effetti collaterali, ma non per complicarsi la vita, per percorrerne una migliore”. Secondo la letteratura sacra indù, ogni divinità ha un suo mantra, dato il numero infinito degli dei indiani (demoni e altri esseri sono, poi, anche più numerosi), ne consegue un numero infinito di mantra. Essi non possono essere usati impropriamente salvo gravi conseguenze. Un magico mantra usato per uccidere un nemico porterà un danno a chi l’ha usato impropriamente.
La conoscenza della corretta cultura di spiriti e diavoli è essenziale per uno stregone, deve conoscere il mantra, come dire le parole e quale posizione assumere nel pronunciarle. Un’arte, una forma di cultura, nel gioco magico: oltre alle parole esistono e si debbono conoscere i segni magici, la magia delle parole si chiama mantra, quella dei segni si chiama yantra, questo è ciò che pratica da sempre Antonio Milanese: peccato che gli artisti contemporanei, nel nome della causa-effetto, dell’obiettivo di comunicazione e del progetto, stiano perdendo la relazione con la spiritualità e la magia del segno, per fortuna in realtà come Napoli, tutto questo si tramanda nella comunicazione tra artisti e nel legame tra il linguaggio simbolico dell’arte e il popolo (comunità è una brutta parola, divisiva e territoriale), a Cagliari maghi e sciamani? Quelli che sanno vendersi meglio, la negazione della magia dell’arte.
di Mimmo Di Caterino