Ho divorziato dal sud dell’isola (lo testimonia anche una mia personale, organizzata dall’imprenditore e collezionista Michele Franzese al Castello medievale d’Ottaviano), questo non preclude il dialogo a distanza con i suoi artisti, in particolare con Quilo dei Sa Razza, fratello, prima che la storia del rap in Italia. Quilo mi chiede l’opinione su Manu Invisible, e il suo intervento: una colomba a Bucha.
Intervento commentato dai media come simbolico verso l’invasione russa. Per il Komandanti Quilo, l’intervento sentenzia una perdita d’autorevolezza e credibilità, l’artista diventa così un “mercenario schierato”, non un sostegno di pace tra limiti e frontiere culturali.
Dal mio osservatorio di Napoli Est, dove l’arte è vita o morte reale, non posso negare che la tipologia d’intervento, posiziona politicamente l’artista, anche da queste parti si è abituati a cose come Jorit che si scatta un selfie con Putin per rivelarne l’appartenenza alla razza umana e politicamente dedica un murales ad Assange a Mosca (insomma qualche problema con la libertà di stampa, pare ci sia in ogni dove).
L’equazione che mi sento di fare è: un artista in maschera è a sostegno (politicamente di fatto) della Nato, un altro di regime borbonico a sostegno della Russia di Putin, entrambi artisti dei quali riconosco la grande capacità creativa e comunicativo progettuale, stimo entrambi per ciò che hanno determinato per le loro comunità, ma il mio approccio all’arte è diverso, distante dai media di massa nei contenuti (posto che i media di massa abbiano contenuti), entrambi paiono muoversi nell’ambito di correnti e posizionamenti che sanno essere trasversali a partiti e movimenti globalmente diffusi, la loro posizione seppur differente è un’onda che va da Fratelli d’Italia al Pd, rivendicano l’essere nati come street Artist dall’alto del loro essere public Artist, criticano un sistema in cui sono pienamente inseriti e che, ne impone opera e operazioni in modalità politica (prima che artistica), per questo generazionalmente distanti da me: distanti dal punto di vista generazionale, gestiscono microeserciti di follower del pensiero unico, stelle comete della polarità virale.
Caro Komandanti Quilo, la colpa di questa fenomenologia dell’arte contemporanea, che determina non solo Manu Invisible e Jorit, ma anche Banksy, Federico Clapis, Liberato e Jago, è che si muove su un territorio tracciato dalla nostra generazione, la nostra ideologia identitaria locale (quanto ci abbiamo creduto, battendoci la mano sul petto?), ha fuso e confuso street art e public art, arte e politica non dovrebbero essere mai lo stesso territorio, e lo scrivo a te d’artista che come te è arrivato al grande pubblico proprio nel nome dell’arte come strumento politico, non avrei mai collaborato con Flash Art se non avessi messo radici negli anni novanta nei centri sociali Napoletani e i loro movimenti.
Se un certo approccio all’arte ci pare svilente, dobbiamo riconoscere che, è colpa della nostra generazione che ha il peccato originario, d’essersi fatta strumentalizzare dall’ideologia degli anni settanta fondendo arte e politica, abbiamo reso la critica al mercato privato marketing privato, abbiamo reso l’intelligenza dell’artista qualcosa d’artificiale al servizio della comunicazione politica. Lasciamo andare tutto, fake e poser hanno la sola colpa d’avere estetizzato e digitalizzato artificialmente quello che proponevamo: chi non dice davanti a un pezzo di Manu Invisible o di Jorit, “Minka è bravo!”?
Hanno talento Accademico, sanno porlo al servizio di schieramenti senza schierarsi, mica come Umberto Boccioni morto in guerra caduto da cavallo, mica come me che sposavo nell’arte le posizioni dei centri sociali, o come te che mettevi la tua musica al servizio dell’indipendentismo, ammettilo anche tu, Manu Invisible “minka è bravo!”.
di Mimmo Di Caterino