Non si hanno più notizie di 500 migranti che, nella notte tra il 24 e il 25 maggio scorso, hanno lanciato una chiamata di soccorso in mare riguardante il barchino in vetroresina su cui stavano cercando di attraversare il tratto di Mediterraneo tra Bengasi (Libia) e le coste italiane. Altri 27 sono stati soccorsi dalla furia delle onde nella stessa notte, tra il 24 il 25, da una petroliera battente bandiera delle Isole Marshall che, inizialmente inviata sul posto dal Centro di coordinamento e soccorso marittimo di Roma ed in seguito coordinata dalle istruzioni dell’omologo Centro di soccorso libico, ha ricondotto i naufraghi in Libia.
Il Capomissione di Mediterranea Saving Humans, Luca Casarini ha da subito divulgato quanto accaduto nel Mediterraneo. Attraverso un comunicato stampa pubblicato, la mattina del 25, l’Ong lancia il proprio appello: “Fermatevi!”
Mediterranearescue.org, riporta: “In queste ore la nave mercantile P. LONG BEACH sta deportando di nuovo nell’inferno dei campi di detenzione della Libia 27 persone, recuperate in acque internazionali nel Mediterraneo centrale nella notte appena trascorsa”.
Le parole sono quelle del Capomissione, che spiega: “Ieri, queste persone, in fuga da Bengasi a bordo di una piccola e sovraffollata imbarcazione in vetroresina, si erano messe in contatto con Alarm Phone chiedendo aiuto. AP aveva immediatamente rilanciato l’SOS alle Autorità europee, Italia e Malta, chiedendo un tempestivo intervento di soccorso. Successivamente la barca in pericolo è stata anche individuata dall’osservazione aerea del velivolo Seabird di Sea-Watch, che ne ha, a sua volta, fornito la posizione alle Autorità. Ci risulta che il Centro di coordinamento del soccorso marittimo (IT MRCC) di Roma abbia assunto il coordinamento del caso e abbia diretto sulla posizione indicata più di una nave mercantile. Tra queste la P. LONG BEACH, petroliera battente bandiera delle Isole Marshall, gestita da armatori greci e proveniente dal porto di Trieste.”
Prosegue, l’attivista: “Risulta anche che, nella notte appena trascorsa, la nave abbia operato il recupero in mare delle 27 persone. Secondo la nostra attività di monitoraggio, in questo momento la petroliera è diretta verso il porto libico di Marsa Brega. Si tratta di un respingimento verso un Paese dove l’incolumità e i diritti fondamentali delle 27 persone a bordo sono a rischio. Una gravissima violazione del diritto internazionale, a partire dalle Convenzioni di Amburgo e Ginevra. Una vera e propria deportazione che sta avvenendo con la diretta complicità delle Autorità italiane.”
Concludendo: “Chiediamo che l’MRCC di Roma, nel suo ruolo di coordinamento, ordini immediatamente alla P. LONG BEACH di invertire la rotta e di sbarcare le persone in un porto sicuro europeo. Chiediamo in ogni caso che il Comandante e l’Armatore della petroliera non si rendano responsabili di un crimine contro queste 27 vite. Siamo già pronti a qualsiasi azione legale a difesa dei diritti di queste 27 persone.”
Durante la giornata, il comunicato è rimbalzato su diverse testate giornalistiche e TV, tra cui Avvenire.it
Nell’articolo di Nello Scavo, titolato: “L’Italia risponde a un “S.o.s.”, ma i naufraghi vengono deportati in Libia”. Il giornale d’ispirazione Cattolica riporta una conferma indiretta, su quanto accaduto, che arriva dalla nostra Guardia costiera.
Secondo quanto si legge, l’Autorità respinge ogni accusa e ricostruisce la situazione: “Il Centro di coordinamento e soccorso marittimo di Roma nella notte scorsa ha cooperato, conformemente a quanto previsto dalle vigenti Convenzioni internazionali sul soccorso marittimo, con l’omologo Centro di coordinamento marittimo della Guardia costiera libica, nell’ambito di un evento occorso all’interno dell’area di responsabilità di quel Paese”.
Precisa ancora, la nostra Guardia costiera: “Le unità mercantili coinvolte in questa attività di soccorso sebbene inizialmente contattate dal Centro di soccorso italiano, hanno successivamente ricevuto le istruzioni direttamente dall’Autorità libica, competente per il soccorso marittimo in quell’area, che ne ha, pertanto, legittimamente assunto il coordinamento”.
Fonti del giornale, avrebbrero inoltre confermato: “che i migranti sarebbero stati poi trasbordati dalla petroliera ad alcuni gommoni, presumibilmente forniti da Roma nelle settimane scorse, e poi sbarcati a terra dove verranno rinchiusi in un centro di detenzione. La petroliera ha compiuto il salvataggio dei migranti in piena notte ma poi si è diretta, come evidenziano le mappe elettroniche che in tempo seguono la rotta delle navi e ne indicano la destinazione dichiarata dal comandante, verso il porto libico di Marsa Brega, nella Cirenaica del generale Haftar”.
Venerdì 26, confermata la triste sorte dei 27 deportati in Cirenaica, l’Avvenire ha pubblicato un nuovo pezzo, firmato da Daniela Fassini, in cui si cerca di fare luce e chiarezza sul mistero degli altri 500 migranti di cui si erano perse le tracce il 23 maggio scorso mentre navigavano verso le nostre coste.
“I 500 migranti spariti nel nulla sarebbero stati respinti in Libia, informa Alarm Phone a metà pomeriggio”.
La giornalista, scrive: “Erano spariti nel nulla. Fra le onde del mare, su un barcone in avaria. Dopo 48 ore di ricerca in zona, la nave Life Line della Ong Emergency ha dovuto abbandonare la ricerca di quei 500 migranti partiti diversi giorni fa dalla Libia e segnalati in pericolo lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Fra loro ci sono anche 56 bambini, uno di pochi giorni, nato durante la traversata”.
Emergency, come riporta Daniela Fassini, commenta: “Resta ancora sconosciuta la sorte delle 500 persone che la nave di Emergency, Life Support, stava andando a soccorrere in acque internazionali, zona maltese di ricerca e soccorso, il 23 maggio scorso. Dopo giorni di ricerca, si fa largo l’ipotesi che le persone siano state riportate in Libia, anche se le autorità libiche hanno finora negato”.
“Secondo i parenti le 500 persone sono state respinte in Libia e ora sono imprigionate a Bengasi. Se vero, è stato un atto criminale di respingimento dal centro delle autorità maltesi. Chiediamo chiarimenti. Chi era responsabile?” twittano dalla Ong.
La Libia non è un Paese sicuro, lo ha detto la Cassazione, ce lo dice la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Sentenza, caso Hirsi Jamaa, 23 febbraio 2012) e lo ha riconfermato Amnesty International nel suo ultimo Rapporto annuale sulla situazione dei diritti umani nel mondo, pubblicato lo scorso 27 marzo.
Lo ha detto pure il Papa! Appena un giorno prima che i 500 sparissero, il Pontefice parlava ai Vescovi dei terribili “lager libici”.
Purtroppo è impossibile sentire ciò che non si vuole ascoltare o vedere se non si decide di guardare.