A cosa serve tutta l’arte che non approda a niente? A cosa serve fare arte, se ci sveglia la mattina per affrontare una penosa lotta quotidiana, nel nome della quale si arriva stanchi e sfiniti, avendo come unico risultato la lunga agonia della vita umana?
L’arte è questione di sesto senso da non sacrificare al concreto e alla cultura della specializzazione, della tecnica e della digitalizzazione algoritmica, qualcosa che non ha nulla a che vedere col concreto, il tangibile e l’utile.
Andare oltre il limite imposto della produzione e dell’utile, trasforma in gioia l’aspetto simbolico dell’arte, mostrando quanto la futile produttività sia tragicomica e priva d’importanza, per l’arte e gli artisti dovrebbero contare il vivere e la sua fine, null’altro. L’arte estremamente concettualizzata è funzionale al farla gestire da mediocri, determina poca nobiltà e cibo per menti inferiori, la riduce a lotta (di forza, di vanità, di ricchezza, di superbia e ego) dalle finalità falsate.
Non si può pensare a produzioni artistiche fondate sull’equilibrio tra domanda e offerta, tra il potere e il subire, sul diritto del più forte o del confutare l’affermazione altrui, sul negare o distruggere prove, questo analfabetismo artistico ci rende oggi il più feroce e insensibile degli animali: l’artista non è un umano feroce, è animato, generato e non degenerato.
A proposito di generare nuovi simboli, Simone Spiga di ReportSardegna 24, mi chiede cosa penso del nuovo logo grafico del MIM (ministero dell’istruzione e del merito): non mi dispiace in senso astratto, Mim è il mio diminutivo (Mimmo nel sud Italia è il diminutivo di Domenico), l’userei tanto come logo e brand personale, per senso d’appartenenza sono tentato di metterlo come foto cover dei miei profili social.
Certo pare un pallone da calcio ed è da divisa calcistica, le due M, poste ad un’altra altezza del logo, sarebbero risultate essere troppo da mondiali Italia novanta, anche questo nostalgicamente intercetta la mia storia generazionale (anche se non vincemmo quei mondiali e l’Italia venne eliminata in semifinale dall’Argentina di Diego Armando Maradona, in una Napoli che tifava contro l’Italia nel nome del “noi non siamo italiani”). Pare appositamente fatto per il terzo scudetto del Napoli, c’è l’azzurro della nazionale di calcio, c’è la forma del pallone, c’è il puntino della I tricolore, pare un angioletto.
C’è in giro così tanta grafica immonda e intercetta una serie d’aspetti nazional popolari e culturali che m’appartengono, quello che non mi torna è il logo è qualcosa che serve a conferire un’identità di marca (e marchio), qualcosa che dovrebbe acquisire un forte valore simbolico, in quanto segno corrispondente a contenuti o valori particolari o universali, mi sforzo di ragionare come potrebbe avere ragionato chi si è occupato di questa grafica: Che il cerchio non sia un pallone da calcio, ma sia il cerchio di Giotto e ci riporti a una dimensione Rinascimentale?
Che le due M, che paiono due ali, ci connettano a miti classici e umanistici e a tutta la cultura alchemica ed esoterica nazionale? Stiamo parlando del Ministero dell’Istruzione e del Merito della scuola pubblica Italiana, da docente pubblico, m’identifico così tanto in questo logo, che auspicherei una divisa di tutti i docenti della scuola pubblica italiana, tutti con maglietta azzurra e il logo, tutti uniti per un video spot per ridare dignità sociale, culturale e professionale alla categoria e alla scuola pubblica italiana, tutti a cantare con orgoglio: “siamo noi, siamo noi, i campioni dell’Italia siamo noi…”.
Dimenticavo: Alta Formazione Artistica, vuole anche dire comunicazione grafica, adesso ho proprio detto tutto!
Di Mimmo Di Caterino