Un’operazione oggi “non avrebbe senso. Le metastasi sono già nei polmoni, nelle ossa, al cervello”. Michela Murgia si racconta in una lunga intervista al Corriere della Sera ad Aldo Cazzullo.
“Mi restano mesi. Mi sposo perché lo Stato chiede un ruolo: mio marito saprà cosa fare. Spargete le mie ceneri nell’oceano in Corea. Spero di non morire finché la Meloni è premier, non voglio morire con un governo fascista”, dice Murgia.
Michela Murgia poi prosegue: “Le metastasi sono già ai polmoni, alle ossa, al cervello”. Poi dice che dopo aver compiuto 50 anni ha deciso di “lasciar andare ciò che non è vitale: questa è una delle cose più importanti che ho capito in questi mesi di cura della malattia e di santa igiene di vita e relazione. Così per il mio cinquantesimo compleanno ho aperto l’armadio, che esplodeva di cose accumulate negli anni, e ho scelto cinquanta capi che lungo la vita hanno vestito la persona che sono stata, ma che adesso non sono più”.
Sempre sulla malattia: “Il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono. Me l’ha spiegato bene il medico che mi segue, un genio. Gli organismi monocellulari non hanno neoplasie; ma non scrivono romanzi, non imparano le lingue, non studiano il coreano. Il cancro è un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere. Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo, a me stessa. Il tumore è uno dei prezzi che puoi pagare per essere speciale. Non lo chiamerei mai il maledetto, o l’alieno”.