Morire suicida in carcere ma donare gli organi.
La storia di G.O., 27 anni, detenuto nel carcere di Uta, racchiude il paradosso di una vita in cattività chiusa con un gesto estremo ma che non smette di pensare agli altri. “Era una sua volontà scritta da tempo, voglio che si sappia di questo suo importante gesto, voglio che si sappia che la sua vita non valeva meno di altre anche se detenuto”, dice Irene Testa, garante dei detenuti della Sardegna.
G.O, cagliaritano, è morto oggi in ospedale dopo che sabato scorso aveva tentato il suicidio impiccandosi nella cella del carcere dove era detenuto in custodia cautelare. A Testa, che qualche giorno prima gli aveva parlato nel corso di una visita in carcere, aveva detto di essere in attesa del nulla osta per andare in comunità. Ma il 23 novembre il tragico gesto, ha cercato di impiccarsi ed è stato soccorso da un medico del 118 intervenuto su segnalazione degli agenti della polizia penitenziaria. Trasportato in ospedale le sue condizioni si sono aggravate ed oggi la presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme Odv, Maria Grazia Caligaris, ha dato notizia della sua morte.
Dopo questo ennesimo suicidio, Testa ha scritto una lettera aperta al ministro della Giustizia, Nordio, perchè “comprenda che ogni giovane che evade dal carcere togliendosi la vita è anche e soprattutto un suo fallimento”. E ricorda che durante la visita al carcere di Uta il 27enne non aveva chiesto niente “era seduto pensieroso davanti alla finestra della sua cella”.
“Gli ho domandato se stava bene – prosegue la garante – Sembrava spaesato, come se quella dimensione non fosse per lui. Occhi azzurri e volto pulito, lo facevano apparire come un corpo estraneo all’interno di un contenitore di dolore”. “Mi ha detto che stava leggendo un libro che teneva sulla branda e che aspettava il nulla osta per poter andare in comunità – racconta ancora Testa – Il compagno di cella si preoccupava per lui, ripeteva in continuazione che non stava bene e che aveva già tentato il suicidio. G. O. era in custodia cautelare e si trovava in carcere per il fallimento a vari livelli anche delle agenzie territorialI”.
Questo ragazzo , afferma la garante, “doveva essere curato non custodito”. “Penso alla mamma – è suo il pensiero – che è venuta a saperlo da una chat di famigliari di altri detenuti che hanno postato un articolo di giornale e ha subito sospettato si trattasse di suo figlio. Non si sbagliava. Era il suo ragazzo. Quando la chiamo ho poche parole di conforto per la madre. La sensazione è di imbarazzo, di disagio, la tentazione è quella di chiedere scusa”.