Sto arredando la mia casa studio, soltanto con le opere realizzate prima della mia decisione di lasciare Napoli per Cagliari (dove mi sono sposato, ma anche dove ho divorziato), quelle poche che mio padre ha preservato dalla dispersione e distruzione che avevo posto in essere (è una mia ciclica costante, legata a trasformazioni, rinnovamenti e cambi di pelle), non molto ciò che mi resta del periodo anni novanta e primi dieci anni di millennio, e ciò che mi resta lo devo a mio Padre che, contro il mio volere ha sequestrato e custodito dei miei lavori. Ieri ero sul mio scoglio, quando mi è arrivato un messaggio whatsapp di Gino Ramaglia, che diceva: “ti ha cercato il Prof.Gennaro Oliviero, ha dei tuoi quadri, vuole regalarteli”.
“Ha dei miei quadri e vuole regalarmeli?” Il Prof. Gennaro Oliviero, è un intellettuale, ricercatore esperto di Proust, oggi ottantacinquenne, collezionista d’arte contemporanea, a inizio millennio era solito con il suo collaboratore, raccogliere le mie opere abbandonate e installate in strada e portarsele a casa nella sua collezione, qualcuna l’ha anche comprata da terzi (chi sa quanto e cosa è avvenuto dietro la mia produzione, ma col tempo scoprirò tutto), mi ha detto: “ho ottantacinque anni, mi pare giusto restituirtele, non ho eredi e non so che destino e sorte possano avere”.
Non è nobilissimo? Custodire per più di vent’anni dei lavori e poi restituirli all’autore, pur sapendo che non avrebbe titolo giuridico per reclamarli, questo proprio nel momento in cui sto allestendo la mia casa galleria, fuori dal tempo, con lavori di quel periodo, per me introvabili, a sigillare una rimettersi in moto fuori dal tempo, questo per non parlare di ciò che c’è su quella traiettoria di ricerca: lettere, fototessere, amori passati evaporati, stralci d’ideologia politica di cui ero pregno…, insomma la possibilità di dialogare con un altro me giovane, libero di sbagliare, sdoppiarsi e dialogare con un me figlio e giovane amico…. Il nobile principe Caracciolo del Sole, Gennaro Oliviero, ex docente Universitario, ricercatore e non so quante altre cose, nel nome del pensare che davanti alla morte (a 85 anni ci si comincia a pensare), giuridicamente non avrebbe disposto del mio lavoro (non avendo eredi diretti), me l’ha restituito. La sua azione, la devozione con cui ha custodito dei miei lavori nel tempo, alcuni acquistati da terzi e altri prelevati direttamente on the road quando li negavo, abbandonavo e disperdevo, ha un altissimo valore pedagogico e didattico, se tutte le persone che hanno dei miei lavori me li restituissero, sarei in questo momento l’artista più ricco del pianeta, invece, nel naturale e morboso legame con la materia, tutti trattengono o negano, aspettando che io non ci sia, attaccati alla materia, all’investimento potenziale al guadagno.
Gennaro Oliviero mi ha donato il mio lavoro, il mio passato, la mia memoria, nel momento in cui la sto ricostruendo in una nuova vita nella mia nuova casa (che è sempre quella originaria, perché il proprio futuro lo si scrive nel passato e fuori dal tempo, in alto come in basso): in questo quanto Napoli è diversa da Cagliari e la Sardegna, qui si sa d’essere ricchi, si ha consapevolezza di quanto sia sacrale il ruolo sociale e culturale dell’artista, dovunque e comunque si posizioni in relazione a dinamiche dialettiche di crescita comune, dovrebbero capirlo quelli che saltano nel nome di un’identità che non hanno, intonando: “noi non siamo Napoletani”.
“Noi non siamo Napoletani” equivale a dire “noi non siamo più umani”, beati voi che pensate d’essere solo qualcosa di materiale, sappiatelo che dinanzi la morte non siete ciò che possedete e che, rispetto alla poesia “la livella” di Totò, in altri mondi i distinguo ci sono e l’attaccamento alla materia e alla materialità, nel nome della negazione del valore alto dell’altro, la propria miseria culturale e d’animo, si paga e anche abbastanza salato.
di Mimmo Di Caterino