Nathalie Tocci, fustigatrice filoatlantista sempre in tv: conflitto d’interessi?

L'Opinione del Direttore Simone Spiga

E’ sempre in tv, ormai è diventata la fustigatrice filoatlantista pronta a difendere le politiche guerrafondaie contro il tiranno Putin e la “cattiva” Russia.

Si parla di Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto affari internazionali, uno dei think tank che piacciono alla gente che piace. È tra i 20 più influenti centri studio a livello globale secondo il Global Go To Think Tank Index 2020, nella categoria “Politica Estera e Relazioni Internazionali” ed è il secondo più influente in Italia solo dopo Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI).

La Tocci, con un curriculum di tutto rispetto, insomma è nello scacchiere dei rapporti di forza internazionali, ha fatto parte del Nato Transatlantic Bond Experts Group, ed è stata pure consulente (Special Advisor) dei due Alti rappresentanti dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini e Josep Borrell.

Dal 2020 al 2023 è stata consigliere di amministrazione “indipendente” di Eni e dal 2013 al 2020 è stata membro del Consiglio di Amministrazione di Edison. Dal 18 aprile 2023 è nel Consiglio D’Amministrazione di Acea, insomma sempre molto interessata ai temi energetici.

Insomma possiamo porci un problema serio per l’informazione italiana? Perché quando la si intervista non si specifica chiaramente che rappresenta interessi vari e magari, potremmo affermare che c’è un conflitto d’interessi?

Da componente del Consiglio d’Amministrazione, prima di Eni e ora di Acea è giusto che vada in tv a criticare la Russia e Gazprom senza che nessuno si ponga il problema che la Tocci rappresenti gli interessi delle aziende di cui è componente?

Ma proviamo ad andare oltre e vediamo di capire meglio cosa sia l’Istituto affari internazionali. Infatti, riteniamo che l’opinione pubblica abbia il diritto di sapere se gli esperti onnipresenti in tv e sui giornali e che si pronunciano sulla guerra e sulla spesa militare, lavorino per un think tank e se ricevono consistenti finanziamenti dal governo, dalla stessa industria degli armamenti o da quella dei combustibili fossili?

La domanda se la pone Nicola Borzi per il Fatto Quotidiano andando a indagare sul bilancio dell’Istituto Affari Internazionali diretto da Nathalie Tocci e il risultato è che Ministeri, ENI e colossi delle armi come Leonardo foraggiano il centro studi.

Ecco cosa scrive Borzi sul Fatto:

“L’Istituto Affari Internazionali si presenta come un think tank “indipendente, privato e non-profit” (…) Ma se si vanno a scandagliare i nomi che siedono nel suo board e la lista dei donatori, spesso rappresentati nel comitato direttivo e in quello dei garanti, nello Iai sono ampiamente presenti l’industria delle armi e delle fonti fossili. Tuttavia senza i fondi del governo e delle istituzioni internazionali, l’ente diretto da Nathalie Tocci – fortemente atlantista sulla guerra in Ucraina, durissima con le voci critiche di quella posizione come Nona Mikhelidze, analista dello Iai specializzata nell’ex Urss e consulente del ministero della Difesa – non starebbe in piedi.”

I dati che fornisce Borzi, come specificato dallo stesso giornalista, sono tratti dal sito dello stesso IAI, dal suo bilancio, dalle relazioni obbligatorie di trasparenza, dai cv dei suoi amministratori e da fonti pubbliche aperte (Osint), quali i siti di Governo, Farnesina, ministero Difesa, etc.

E dunque scopriamo che: “Nel bilancio 2022 i contributi pubblici e privati forniscono all’Istituto i tre quarti dei 5 milioni circa di ricavi, i servizi venduti meno di un sesto e le quote associative il restante decimo. Direttamente e indirettamente, Palazzo Chigi l’anno scorso ha versato allo Iai un sesto dei suoi introiti: tra quote associative e “progetti”, ministeri e società partecipate hanno versato in tutto 833 mila euro. Dai privati, italiani ed esteri, è arrivato un altro quarto dei ricavi. Ma la fetta fondamentale sono i 2 milioni 267 mila euro ricevuti da istituzioni europee e internazionali: il 45% degli introiti.

Tra i contributori nazionali dello Iai, il primo è il ministero degli Esteri (375 mila euro). Alle sue spalle c’è Eni, di cui la Tocci era nel Consiglio d’Amministrazione: il gigante dell’energia fossile ha versato 126mila euro e altri 9.700 la sua agenzia di stampa Agi. Il colosso delle armi Leonardo, insieme alla partecipata Mbda Italia (leader europeo nei missili) ha versato oltre 91 mila euro. Imprese che versano fondi pesanti anche ad altri think tank nazionali concorrenti di Iai, come Ispi. Dal settore delle armi arrivano anche i 12.200 euro di Thales Alenia Space Italia, mentre il Centro alti studi Difesa dello Stato maggiore delle forze armate, ha versato 24.750 euro. L’industria delle fonti fossili ha messo sul piatto i 35mila euro del gruppo Enel e i 26mila di Snam. Banca d’Italia ha versato 25 mila euro, Camera e Senato 17.500, il ministero dell’Istruzione 15mila, Cassa depositi e prestiti 53mila, Sace 7mila, Tim 15mila. Gli 833mila euro pubblici e parapubblici consentono insomma a Palazzo Chigi di pesare sullo Iai.”.

 

 

Di Simone Spiga

Direttore di ReportSardegna24

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